martedì 17 giugno 2014

Gioie (poche) e dolori (tanti) dell’open space.

Solitamente, quando si pensa alla salute dell’impiegato in un ufficio, si pensa ad assicurargli sedute ergonomiche, scrivanie ben spolverate, schermi sufficientemente grandi in modo da non cecarlo prima del tempo e nei casi più fortunati, gli si forniscono acqua e caffè per mantenerlo idratato e sveglio.
Spesso però, il datore di lavoro, non considera la salute MENTALE del povero impiegato, mettendone a dura prova pazienza e tolleranza nel momento stesso in cui si decide di piazzarlo in un open space.
Posto che non si può certo pretendere di avere una stanza tutta per sé e che la convivenza con gli altri sul lavoro è una più ampia metafora della convivenza civile nella vita di tutti i giorni, il datore di lavoro dovrebbe fare attenzione a non assumere determinati soggetti e soprattutto a non metterli seduti in un open space.
E questo perché poi succedono cose tipo queste:
#parlare da soli e spaventare a morte il tuo dirimpettaio di scrivania
Come nel servizio militare, anche nei colloqui di lavoro dovrebbero fare i test di salute mentale.
Perché non può accadere, ripeto non può, che uno si sta facendo i beati cazzi propri a lavoro e quello che tieni davanti inizia a fare DA SOLO: ciao, ciao, si tutto bene, si si, tutto a posto, ciao, ciao, vabbe sì  o ancora peggio fa finta di parlare al telefono, telefono che immancabilmente inizia a suonare proprio mentre lui sta parlando.
Non può essere perché poi uno giustamente si caca sotto e a lavoro ci viene temendo che prima o poi il pazzo non si accontenti di parlare da solo e che si presenti con un bazooka per fare una strage.
#scegliere di non lavarsi e/o non usare il deodorante
Ok. Passi per i mesi invernali, che uno c’ha freddo e quindi quell’odore de’soffritto aglio/cipolla te ricorda il calore della cucina familiare e il sugo con le spuntature di maiale.
Però d’estate te devi’ lava’, senza se e senza ma.
Già muoversi per i mezzi pubblici è straziante, almeno a lavoro non dico che si debba sentire profumo di rose, ma la cipolla andata a male nel secchio non è tollerabile.
#la prepotenza del maschio nella questione temperatura ambientale
Come ho già detto in un’altra sede, i colleghi uomini, se hanno caldo, per quanto mi riguarda possono venire in bermuda e infradito.
Ma non possono e non devono procurarmi svariati malanni stagionali, aprendo la finestra in giornate con  -10° oppure mettere l’aria condizionata a palla d’estate, che non si sa per quale arcano motivo si convoglia TUTTA sulle reni della sottoscritta, e poi vallo a spiega’ alla gente che è per l’aria condizionata in ufficio che ti muovi come Robocop.
#strillare al telefono come se stessi parlando con qualcuno in Iraq
Gente che a casa propria al telefono bisbiglia, poi viene in ufficio e strilla come una lavandaia.
Allora o vuoi far vedere che lavori e ti sbatti o sei sordo. In entrambi i casi la voglia di lancio della ciavatta è incontenibile.
#la merenda
Fare merendina in ufficio è un must, ma mica te poi magna’ quello che te pare.
Per esempio la banana no.
Le vaschette con i salumi, mangiati con le mani, no.
Le caramelle sì se le sai mangiare. Ma se con la saliva fai dei risucchi che manco Moana ai tempi d’oro allora no.
La roba unta no. Perché se poi devo usare il tuo pc e mi sembra di stare al Festival della sugna ciò potrebbe essere un problemino.
#Il bar sport del lunedì mattina
Non mettere mai un tifoso del Napoli, uno della Juve ed uno della Lazio vicini perché si crea il triangolo della morte.
Voglio dire: una povera donna già passa il weekend a soffrire appresso campionati vari, pure il bar dello sport in ufficio si deve subire? E la cosa incredibile è che riescono a dire tutte le settimane le stesse identiche cose, in loop, per sempre.
E che palle.

In questo marasma però capita anche che nascano anche belle amicizie, di ridere e pure tanto, ci si conosce più che a casa e se sei fortunato ti fidanzi con quello seduto dietro.
Però che pazienza che ce vo’.

Ciao ciao.

mercoledì 11 giugno 2014

Visite a tradimento.

Ieri giacevo malata a casa, dolorante e deboluccia.
Nel pieno della terza pennica della giornata, mi sveglia il citofono.
Apro gli occhi, ma nemmeno mi alzo, sarà qualche scassaminchia con la pubblicità. Prendo il telefono per vedere l’ora e trovo 6 chiamate della mia genitrice.
Sarà morto qualcuno, penso. La richiamo: mi risponde sbraitando e mezza affannata che ha provato a chiamarmi tantissime volte e che sta salendo le scale. Di casa mia.
Quindi con somma gioia, mi alzo dal letto di morte e vado ad aprirle la porta.
Il primo impatto è quello dell’accecamento: mia madre infatti per il pomeriggio ha deciso di mettersi in tenuta da pappagallo di Copa Cabana, un’ondata di verde azzurro bianco blu elettrico mi investe con violenza.
Dopodichè inizia la via Crucis. Per la sottoscritta ovviamente.
Stazione #1
Lei: stai male? Perché stai male? Hai preso le medicine? Quando fai le analisi? Quando ti operano ai denti? Perché non compri le vitamine? Hai gli occhi gonfi, hai ancora l’allergia? Hai finito gli antistaminici?
Io: …..
Stazione #2
Mia madre apre il frigo e mi dice: non compri mai le verdure, per questo stai sempre male.
Ha il coraggio di dire questo di fronte a un cassetto contenente fagiolini, peperoni, zucchine, rughetta e pomodorini.
Ma no, io non compro mai le verdure.
Stazione #3
Mia madre si reca sul balcone e trova il posacenere con qualche cicca di sigaretta.
-          “Mio Dio quante sigarette! Ma D. ancora fuma? Devi farlo smettere di fumare! Digli che deve smettere!!! Con la tua allergia il fumo è veleno!”
-          “ma mamma fuma sul balcone, non dentro casa….”
-          “il fumo passivo!!! Il fumo passivo!!!! Ti arriva lo stesso!!!”
A quanto pare secondo mia madre il fumo passivo arriva pure se chi fuma lo fa a metri quadri di distanza.
Stazione #4
La differenziata.
Mi chiede: Hai cento bottiglie di plastica sul pavimento. Perché? Le butti separatamente?
Rispondo: si mamma, la plastica la butto a parte.
Lei: ah bene.
Poi però, dopo tre secondi entro in cucina e vedo una busta di immondizia più grande di me chiusa e pronta per essere buttata, ovviamente con organico e plastica messa insieme.
Allora io dico: che minchia me l’hai chiesto a fare se faccio la differenziata.
Stazione #5
Ormai inerte, abbattuta dal peso della malattia e della rottura di coglie, ecco che mia madre sferra il colpo di grazia, ma prendendola alla lontana:
“ho visto un annuncio di una casa in vendita, qui su questa via. Due camere da letto, due bagni, box auto e giardino. Perché non vendi questa casa (ndr: comprata solo sei mesi fa, a seguito della compravendita più allucinante della storia, interamente seguita dalla sottoscritta; con doppio trasloco sempre seguito dalla sottoscritta) e ti compri quella? Così D. non deve girare tanto per il parcheggio”.
Sì certo mamma, è questa la ragione per cui vuoi che compri una casa con una camera in più. Non per il nipote che vuoi tanto avere, ma perché così D. non smadonna per cercare parcheggio.
Io ormai allibita, non ho nemmeno la forza di rispondere: ma/cosa/cazzo/dici.
Ed ecco il colpo mortale:
“HAI PRESO QUALCHE DECISIONE RIGUARDO IL TUO FUTURO?”
ed io: Madre, che cosa vuoi? Che decisione?
E lei ripete: “Hai preso qualche decisione per il tuo futuro?”
La guardo malissimo, al che si decide:
“QUANDO TI SPOSI???”.
Ecco, game over, colpita e affondata.
Davanti a me vedevo solo scorrere in loop la parola: EUTANASIA.

Morale: se giacete malati a casa non avvertite mai la vostra genitrice della cosa, perché approfitterà della vostra debolezza fisica e mentale per farvi tutte le domande a cui normalmente rispondereste: Ah ma’ nun rompe le palle.
La prossima volta piuttosto vado a lavoro con quaranta de febbre.
Cia’.



lunedì 9 giugno 2014

Della volta in cui scoprii che non è vero che tira più un pelo di ….. che un carro di buoi.

Sabato sera.  Un gruppo di ragazze festeggia l’addio al nubilato di un’amica. Immaginatevele: allegre, coloratissime, chiassose, pronte a far festa.
Il gruppo di amiche ha scelto di terminare la serata partecipando al Pride Party 2014, che quest’anno si è tenuto in culonia, a Centocelle, nel bel mezzo del nulla. Quindi decidere di passare la serata lì, ha richiesto l’impiego di diverse macchine e la consapevolezza di buttarsi nello sprofondo di Roma apposta per quella serata, proprio quella. Anche perché il gruppo di amiche ha scelto per questa serata un po’ speciale di vestirsi anni ’80, con tanta autoironia e tanto umorismo, ed  hanno pensato, quale miglior scenario del Pride Party per festeggiare con un look un po’ pazzo senza essere giudicate?

Vabbè per farla breve: le amiche si presentano in blocco all’ingresso del Roma Vintage.
SI METTONO IN FILA, come tutti, e nell’attesa ridono e scherzano. Capita che a un certo punto la sposa urli SCHERZOSAMENTE al tipo oltre i cancelli: ehi fate entrare la sposa!
Ecco, da qua in poi, prende luogo l’episodio più surreale a cui abbia mai preso parte.
Il tizio con una faccia da Hannibal Lecter le risponde: “Decido io chi deve entrare e chi no, anzi sai che c’è, adesso ti metti da un lato e aspetti”. Poi si rivolge al gorilla buttafuori, e gli dice di far passare altre persone.
La nostra prima reazione è stata tra l’incredulo e la convinzione che ci stesse prendendo in giro. Gli chiediamo quindi: Ma come? Che fai?
E quello si incazza ancora di più e strepita: “Qui non potete fare come vi pare! Non entrate e basta, non me ne frega niente della sposa, anzi questa è una festa gay e una sposa qui non c’entra niente e non la vogliamo!”. Dopo di che si rivolge di nuovo al gorilla e con il tono da Fidel Castro gli intima: CACCIALE.
Dire che siamo rimaste costernate è un eufemismo.
Tra chi è rimasta senza parole e chi invece si è incazzata, abbiamo prima reagito “male”, tu così non puoi trattarci, guarda che hai equivocato, pensavamo fosse una festa contro le discriminazioni e poi tu sei il primo a discriminare un gruppo di ragazze…etc etc…
Il piccolo Napoleone ci ignora deliberatamente, se non per ribadire che lì noi non saremmo entrate.
Il nervosismo cresce, le proteste aumentano, una delle ragazze commenta con un’altra: ammazza che deficiente (e si è tenuta, perché io pensavo molto di peggio).
Appena ha sentito il termine deficiente, il soggetto si è incarnato nella ragazzina dell’esorcista, ha tipo strillato: DEFICIENTE LO DICI ALLA FAMIGLIA E A TRE QUARTI DELLA PALAZZINA TUA, ANDATEVENE IMMEDIATAMENTE, MA COME VE PERMETTETE, CHE NON VI HO CAPITO A VOI, POI DAL DEFICIENTE SI FA PRESTO A PASSARE AL FROCIO DE MERDA.
Un folle. Totale.
Che chiaramente ha un conflitto insoluto con la propria sessualità per attribuire a noi, insulti che nessuna si sarebbe mai permessa di pronunciare, non capendo che se stavamo lì a festeggiare, evidentemente certi pregiudizi non ci appartenevano neanche alla lontana.
Morale della storia, ce ne siamo dovute andare, ma quanto accaduto è di una gravità inaudita.
Non faccio di tutta l’erba un fascio ovviamente, qua il maleducato pazzoide ignorante è stato un solo individuo. Un individuo che però in quel momento aveva un ruolo importante, e che ha segnato con il suo atteggiamento un’intera manifestazione, un evento collettivo di rilievo.
E che personalmente mi ha lasciato un ricordo sgradevole, la sensazione di aver subito un atto vero di ingiustizia e prepotenza.
Qualcuno potrebbe ipotizzare che il tizio per reagire in maniera così violenta e intransigente, probabilmente ha un trascorso difficile fatto di discriminazione e rifiuto.
Io rispondo ‘sti gran cazzi.
E che la prossima volta che questo psicolabile si azzarderà a trattare così chiunque, abusando di un potere del tutto fittizio ed arbitrario, gli deve prendere una diarrea a spruzzo da riempiere tutto il parco di Centocelle.
E comunque poi siamo riuscite a divertirci lo stesso. Alla faccia sua.
Ciao a tutti meno uno.