martedì 29 aprile 2014

Pruriti & co.

Non lo so che mi prende, ma ultimamente sono infastidita.
È un fastidio generalizzato, universale, si innesca con poco, si innesca per tutto.
E allora per esorcizzare, per cacciare via questo fastidio, forse è il caso di spurgare in questa sede.
Ecco, ora sono una vipera e sprizzo veleno.
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             Mi detesto. Arriva la primavera ed io mi detesto.
Se potessi liposucchiarmi anche l’anima lo farei. I NUMEROSISSIMI peccati di gola finora nascosti da lana e piumini stanno per essere esposti, alla luce del sole.
Mi sono iscritta in palestra da qualche mese, ma sempre troppo tardi per essere fighissima già a Maggio.  E poi arrivano i pollini, ed io mi trasformo in una creatura smoccolante e dalla pelle irritata, sento solo il bisogno di fazzolettini e chilate di Gentalyn Beta da spalmarmi sulla faccia, invece mi tocca pure uscire e sembrare addirittura presentabile.

-          Iniziano i primi caldi e la gente sui mezzi comincia a puzzare di ascella stagionata 24 mesi.
L’inverno è stato tutto un susseguirsi di individui che a colazione al posto dei cornetti si mangia teste d’aglio…ora è tempo delle docce mancate, del deodorante considerato accessorio opzionale, delle sudate da stalla, ed io soffro tanto.

-          Mi sento ostaggio dei turisti, delle vecchie e delle donne con i passeggini.
Non passa giorno in cui un gruppazzo di turisti non mi calpesti con le loro valigie del cazzo, in cui una vecchia non mi prenda a gomitate sulle costole per pesare la verdura prima di me al supermercato, in cui una mamma con il passeggino non mi faccia pestare tutte le merde lato marciapiede perché sul marciapiede vero e proprio ci deve passare lei con passeggino a seguito.
Sì, non sono politically correct, ma che vi devo dire.

-          Il mio senso estetico è seriamente messo alla prova. Donne, mettetevelo in testa, non potete mettervi addosso quello che vi pare e piace.
Ultimamente è tutto un prolificare di donne polpacciute con ballerine improponibili, accompagnate sovente da calze 15 denari bianche. Perdinci, bianche.
La ballerina è di per sé una scarpa difficile, se hai caviglie e polpacci da wrestler allora lascia perdere, perché davvero, non è il caso. E anche se il caso lo fosse, ma perché ti compri le ballerine di plastica viola/fucsia/turchese con le peggio patacche appiccicate sopra?
E quando non è una ballerina, allora il mio senso estetico viene seriamente offeso dal piede zozzo e cicciuto della turista di turno, che non si sa per quale insano motivo, si deve girare tutta Roma in INFRADITO. Voglio dire, se hai deciso di distruggerti la schiena cazzi tuoi, ma la vista dei tuoi piedacci mi deve toccare per forza?!? Io dico di no.
Infine, non so nelle altre città, ma a Roma le adolescenti si vestono come in Beverly Hills 90210. Santissimo Iddio è tornata la moda anni ‘90, ed io mi sento come quando da ragazzina cessona guardavo Non è la Rai dopo scuola: un misto di fastidio e invidia.

-          L’incubo della gita fuori porta.
Mi sento massimamente a disagio per questo fatto qui.
È tempo di weekend lunghi e di giornate più o meno belle. E allora se non vai al mare/al parco/al museo aggratisse/al borghetto medievale fuori Roma, sei il più stronzo di tutti.
E allora mi sa che rientro in quest’ultima categoria.
Odio la gente in metro figuriamoci in questi contesti bucolici che può succedere, contesti in cui l’unica opzione desiderabile è stare in santa pace con pochissimi eletti.
A pasquetta mi sono fatta una fila di 40 minuti per prendere un fottutissimo gelato da Giolitti. Oh, 40 minuti. Non si contano sulla mano le cose che avrei potuto fare in quei 40 minuti con maggiore soddisfazione e appagamento.

Insomma: mala tempora currunt.

Cercasi rimedi durevoli ed efficaci.

martedì 22 aprile 2014

La sindrome della geisha.

Alla faccia del femminismo, della parità tra uomo e donna, delle suffragette, ho scoperto di essere afflitta da una grave ed ostica malattia: LA SINDROME DELLA GEISHA.
Non sono nata tra i monti della Sila, ho studiato, lavoro, vivo nel 2014 eppure rientro a pieno nella casistica delle donne che soffrono di questa tremenda sindrome, e la colpa è tutta di mia madre, già lo so.
Insomma, io faccio gli stessi orari lavorativi del mio uomo, arriviamo a casa più o meno rincoglioniti allo stesso livello eppure io non gli permetto di muovere un dito per le faccende domestiche, tranne rarissime eccezioni.
Non è lui, badate bene, che non vuole collaborare, sono io che mi metto di punta e insisto per passare l’aspirapolvere, lavare a terra, lavare i piatti 6 sere su sette, spolverare, cucinare (oh cucinare davvero, mica la pasta al burro) etc etc etc…
A  volte rasentiamo il litigio, ma è più forte di me, lo devo fare io.
E lo sapete perché? Perché per colpa di questa maledetta sindrome della geisha io latentemente rifiuto il concetto che il mio uomo (attenzione, non l’uomo in generale, ma il mio uomo) faccia lavori cosiddetti “muliebri”.
(mentre scrivo queste ultime parole mi vergogno come un cane e mi aspetto da un momento all’altro che le femministe degli anni ’70 mi piombino addosso per picchiarmi come merito).
E la sindrome mica finisce qua.
Chi mi conosce sa che mangio come i camionisti all’Autogrill, mangio tanto, volentieri e di gusto.
Ucciderei chiunque mi sottraesse il cibo di bocca.
Ma quando si tratta di servire la cena a tavola, non si sa come, a lui servo una porzione da bufalo, a me quella della principessina inappetente.
E la cosa bella è che sono pure contenta di farlo. Tutto ciò è solo imputabile al mio modello familiare, altrimenti non si spiega come al solo vederlo con una pezza in mano, l’immagine e l’idea che ne traggo è quella della svirilizzazione del suo essere uomo.
Razionalmente mi ribello a tutto questo. Insomma lo so che siamo alla pari, che il nostro tempo libero ha uguale valore, che i compiti domestici dovrebbero essere equamente distribuiti, però ad un certo punto prende il sopravvento questa cazzo di geisha che DEVE pulire, rassettare, servire pranzo e cena a più portate e farlo sentire il re incontrastato di casa.
Probabilmente se lui invece di essere così disponibile e collaborativo, mi imponesse le cose che faccio per lui di mia sponte, la ramazza invece di usarla per pulire a terra, la userei per fargli dei bozzi decorativi in fronte.
Geisha sì, cogliona no.
Quindi finché questo moto altruista viene da me, e da me soltanto, allora è qualcosa con cui posso convivere tranquillamente.
Ma se stessi con un villico ignorante che desse per scontato che l’addetta a pulizie/pasti/sollazzi fossi io, allora la geisha se ne tornerebbe in Giappone e la sottoscritta diventerebbe la paladina del femminismo contemporaneo.

Quindi per ora continuo così senza troppi rimorsi di coscienza femminista, magari però la prossima volta la bistecca me la cucina lui, e mi serve pure quella più grossa. Magari. Forse. Chissà.

martedì 15 aprile 2014

Scary Date Theory ovvero del peggior primo appuntamento di sempre.

Tempo fa menzionavo su questi schermi l’emozione che si vive prima di un appuntamento galante.
Ma dopo…dopo cosa succede?
Le probabilità che un primo appuntamento sia un successo sono pari a quelle di non beccarsi il colera nuotando nel Tevere: quasi nulle.
Nella mia personale esperienza appuntamentoria ho avuto modo di classificare queste tipologie di soggetti, ciò che scrivo vi serva, dove possibile, ad evitarli come la peste:
# l’autoreferenziale: esisto parlo faccio solo io
Ecco. Se nella borsa ti metti un cric portatile e poi glielo dai ripetutamente sulle gengive, nessuno potrà fartene una colpa.
Questi soggetti esistono solo ed esclusivamente per parlare di sé stessi. Io è il loro pronome personale preferito, tu/egli/noi/voi/essi sono solamente accessori.
Dopo un discorso lungo un’ora e mezza pieno di io io io io, ad un certo punto giusto per prendere fiato e bersi un sorso del cocktail che ha ordinato lui dirà: e tu?
Farete in tempo a dire Beh io…. E già ricomincerà a sproloquiare, incurante che tu lo stia ascoltando o meno.
# il sopravvissuto alle guerre puniche
Questa categoria è terribile. Ognuno di noi si presenta all’appuntamento con il proprio bagaglio di esperienze personali, più o meno sofferte. Però bene o male, un minimo di ottimismo, una luce in fondo al tunnel la facciamo intravedere.
Il mio personale appuntamento con la categoria del sopravvissuto alle guerre puniche si è svolto più o meno così:
IO: beh allora che mi racconti di te?
LUI: mi sono sposato giovanissimo con l’amore della mia vita. Incuranti e incoscienti abbiamo dato alla luce una bimba bellissima come la mamma. Ero convinto di avere tutto, ma poi un giorno ho scoperto che lei era una schizofrenica con svariate personalità, pensavo fosse una restauratrice e invece si spogliava a via Veneto negli strip club, ho trovato nel pc file sulle sue performance, ci siamo separati, e dopo un primo tentativo di perdonarla, ora ci stiamo avviando al divorzio. Ah, la ragazzina la tengo io, che a quella zoccola l’ho diffidata.
IO:…..
(true story)
Ora io dico, con queste premesse, come può quel primo appuntamento non essere anche inevitabilmente l’ultimo?

# il truffatore
Ti imbatti in questa tipologia solo se ti capita di bazzicare quello strano luogo chiamato chat.
Amiche! Romane! Concittadine!
Diffidate di foto profilo prese di sguincio, di tutti i filtri Instagram possibili e immaginabili, del chiaro scuro, del bianco e nero, dei soggetti che si ritraggono solo seduti!
Pensate di incontrarvi con uno più o meno normale e vi ritrovate sedute con un tizio alto 1.50, che si è fatto esplodere una bomba in bocca e poi si è fatto rimontare i denti a casaccio, che si compra i vestiti da Prenatal e che, cosa più grave di tutte, non ha la benchè minima percezione di essere il mostro che è.
L’unica cosa da fare in questi casi è la denuncia.
Siete vittime di truffa tale e quale a quelli che si compravano il ciondolo del Mago Do Nascimento nei programmi di Wanna Marchi.

# il maniaco
Con il maniaco la conversazione si svolge più o meno così:
-          Ciao piacere, io sono Ayesha.
-          Ciao, ti amo. Vuoi venire a cena da me, fare un figlio, sposarci e amarci per sempre?
Inutile dire che questi tizi hanno problemi affettivi di natura congenita, tendono naturalmente ad accollarsi, se gli dai un minimo di corda te li ritrovi sotto casa e poi non li schiodi manco con la municipale.

 # il comunista fuori tempo massimo
Per carità, c’è a chi questa categoria piace, su di me francamente non esercita tutto questo fascino.
Li riconosci subito, sembra che si siano appena alzati dal letto, tutti scompigliati, look da giovine intellettuale di sinistra degli anni settanta, hanno una sciarpa rossa intorno al collo, la giacca di vellutino a coste, pantaloni sformati e il Manifesto sotto braccio.
Ti portano a bere su un marciapiede al Pigneto, con una bottiglia di vino portata da casa e aperta con il cavatappi chiesto in prestito dal bangalese dietro l’angolo.
Sono sognatori, pieni di poesia, ma talmente dissociati dalla realtà, che o decidi di adottarlo per prenderti cura di lui o le prendi a pizzoni per svegliarlo e regalargli il primo vero contatto con il mondo reale.
 


Ovviamente le categorie sono molte di più, ma per fortuna mi è stato risparmiato di conoscerle tutte.

Ed ovviamente, poi ci sono quelle categorie di uomini, che al primo appuntamento danno tutto un altro senso, meno trash, meno tragico, meno patetico (e che la Madonna addolorata li benedica tutti).

giovedì 10 aprile 2014

Uh, un asino che vola. Ah no, è l’utopia dell’amicizia tra uomo e donna.

Sono di umore pestifero e rimungino.
Mi interrogo su questa faccenda dell’amicizia uomo/donna e mi do cento risposte diverse.
Proviamo a ragionarci su:
secondo me tale fenomeno è impossibile se il soggetto maschile e quello femminile sono entrambi fisicamente appetibili.
Voglio dire, se ci si trova reciprocamente belli, sussiste anche l’ipotesi residuale che alla domanda: “ma astrattamente te lo/la faresti?” la risposta potrebbe essere sì.
E siccome voglio credere che l’amicizia debba essere un fenomeno scisso da ogni tipo di complicazione sessuale ecco che i nostri amici belli belli in modo assurdo non se la possano intendere come amici, ma come qualcos’altro.
Non prendiamoci in giro: l’amicizia di per sé è un difficilissimo gioco di equilibri, è complicata fra due persone dello stesso sesso, figuriamoci tra sessi opposti. Basta una sciocchezza, se pur minima, ed il fraintendimento è dietro l’angolo.
Basta una ciucca di quelle giuste, un occhio assonnato scambiato per occhiolino sensuale,  un momento di annebbiamento e scatta il limone come niente.
Quindi non c’è niente da fare. O vi scegliete come amici persone che non vi fareste manco pagati, o vi state prendendo in giro.
Che poi uno dice: se proprio una donna ci tiene ad avere un amico uomo, c’è sempre l’ancora di salvezza dell’amico gay.
Oh, ma lo sapete che nemmeno l’omosessualità costituisce garanzia salva-limone? Avete la vaga idea di quanti casi conosco in cui persino l’omosessualità è andata a farsi benedire ed in preda a istinti bestiali le persone in questione si sono lasciate andare a manifestazioni d’affetto tutt’altro che amichevoli?
No, non c’è storia. Non mi convincete.
Da tutta questa faccenda io mi persuado sempre di più che l’amicizia uomo-donna può sussistere solo e soltanto in assenza di:
a.       bellezza
b.      alcol
c.       stati confusionali
Tutto il resto, come diceva Starnone in un suo libro, è poesia.
PS:
nota dell’autore
per onestà intellettuale mi preme avvisarvi che quanto sopra enunciato è profondamente viziato nei contenuti dal fatto che il mio fidanzato, bello come il sole a primavera, è intento ad aperitivare con la sua amica storica, anch’ella bella, e ahimè, pure single.

PPS:
che vi pensate, queste cazzate che scrivo non nascono mica dal caso.




martedì 8 aprile 2014

Le gioie del limone.

La mia amica Flavia una volta ha dichiarato di essere fan del limone.
Io sono d’accordo con lei. Ci sono poche gioie nella vita paragonabili a quella regalata da un limone ben fatto.
Ah, ovviamente parlo del limone inteso come sostantivo della voce verbale LIMONARE.
Se ci guardiamo indietro e ripercorriamo con la mente le tappe importanti della nostra vita, fateci caso, compaiono almeno due o tre baci di quelli stellari, di quelli perfetti, di quelli che svuotano completamente di significato il concetto di spazio-tempo.
La mia carriera limonatoria inizia per sbaglio, in terza media, in una cantina dove si giocava al gioco della bottiglia. Insomma mi capita di baciare il compagnuccio di classe toccatomi in sorte e quello stronzo a tradimento mi infila la lingua in bocca: una roba saettante e scattosa tipo serpente, per niente gradevole, per niente memorabile. E poi a una velocità assurda, sembrava volesse fare i 100 m con la lingua, che shhhhcccchifo, ancora ho i brividi al ricordo.
Quindi non lo considero nemmeno il mio primo bacio.
Il primo bacio quello vero l’ho dato un anno dopo. Da un lato è stato bello, perché poi sarebbe diventata importante la persona con cui l’ho condiviso ed erano speciali anche il momento e la location.
Non è stata affatto speciale la dentata in sincrono che ci siamo dati.
A distanza di anni mi chiedo ancora come abbiano fatto i nostri incisivi a reggere il contraccolpo di quella dentata… per dire, ancora sento con nitidezza il rumore dei nostri denti che fanno STTTTENNNNG, l’eco di quel rumore orrendo che pervade la notte e le nostre cape.
Inoltre la giovine età e l’inesperienza ci hanno impedito, soprattutto a lui, di gestire con moderazione e saggezza il problema salivazione, per cui ho capito cosa si prova a spalmarsi sulla faccia quella crema a base di bava di lumaca che sponsorizzano in tivvù.
Successivamente sono seguiti altri baci, ma quello che ho capito è che raramente il primo bacio in un rapporto è il più bello. Anzi forse questo non capita quasi mai.
I baci sono perfetti quando ci si capisce, quando c’è intesa, quando non si ha fretta, quando si è rilassati. E questi elementi per forza di cose vengono tutti con il tempo.
Il guaio è che superata l’adolescenza si tende a sottovalutare l’importanza del limone, ci si fionda a letto e via. E invece secondo me ci si perde il meglio, o quasi.
Non sottovalutate l’importanza del bacio, non togliete tempo all’attività limonatoria. La pietra pomice sui calli ve la passate un altro giorno, una volta ogni tanto prendete chi vi piace/amate/non trovate repellenti e baciatevelo come se non ci fosse un domani.
Anzi, regalatevi serate fatte solo di limoni, senza dover necessariamente concludere con altro.
E mi raccomando, che siano baci asciutti e intensi, che ci si guardi bene negli occhi, che ci si prenda per mano, che ogni tanto ci si sorrida.
Perché il limone è una roba che fa bene al cuoricino, una carezza per l’anima, davvero.



venerdì 4 aprile 2014

Dei vizi e delle virtù della singletudine.

Come molti sanno dagli 8 ai 14 anni venivo utilizzata come la controfigura di Mariangela Fantozzi, poi la natura mi ha concesso di abbandonare il regno dei primati per abbracciare quello degli umani e quindi sono seguiti diversi fidanzamenti pluriannuali.
Questo per dire che non sono molti i periodi vissuti da single, tirando le somme dai 14 anni ai 30 arriviamo cumulativamente ad un annetto e qualcosa.
Eppure mi è bastato poco per capire che il mondo dei single è un mondo duro, spietato, per sopravvivere sono necessarie skills mica da poco.
Forse la volta in cui ho dimostrato maggior tempra è stata la volta in cui mi trovavo al ristorante con due amiche, entrambe due topolone degne di nota (poi capirete il perché della specifica).
Insomma, ci trovavamo a pasteggiare in questo ristorante a Testaccio, quando una di queste amiche comincia ad osservare con occhi sognanti una scenetta al di fuori dalla vetrata del ristorante: lui, lei ed il ragazzetto del Bangladesh con le rose in mano.
Lui dopo qualche ritrosia finisce per comprare tre, quattro rose alla fidanzatina,  si accorge che la mia amica guarda il tutto con lo sguardo ebete e ci sorride.
Ad un certo punto la coppietta entra nel ristorante, lei va ad accomodarsi, lui si avvicina con una rosa al nostro tavolo.
Noi lo guardiamo sorridenti e ben disposte, del resto ha appena fatto una cosa galante alla sua fidanzata, “ma che carino” pensiamo. Insomma questo ragazzo si avvicina, ci guarda, posa la rosa sul tavolo e dice: “no cioè è che v’ho visto che stavate ar tavolo da sole senza maschi e allora gnente me facevate npo’ pena  e ho pensato de regalavve ‘na rosa pure a voi”.
La reazione delle altre due mie amiche non la ricordo.
Io dal canto mio ho iniziato a vedere tutto rosso, gli occhi mi si sono girati all’indietro, un filo di bava schiumosa ha cominciato a colarmi dalla bocca.
Dentro di me gli ho mandato mille maledizioni diverse, in lingue che non sapevo nemmeno di parlare.
La tempra in questo fattarello qui l’ho dimostrata nel fatto che pur disponendo di diversa coltelleria a portata di mano sul tavolo, non l’ho utilizzata per incidergli sulla fronte: idiota beone testa di cazzo, ma che ne sai che magari una di noi, se non tutte e tre, a casa teniamo un uomo, due figli e tre cani, che ne sai che fuori dal ristorante non stavano ad attenderci tre modelli di Armani, che ne sai che i nostri fidanzati non stavano tutti al bagno del ristorante colpiti da un attacco di diarrea collettivo?
Solo perché quella scema dell’amica mia è l’ultima delle romantiche rimaste e fissava te e quello sgorbio della ragazza tua, ti devi sentire autorizzato ad avvicinarti e manifestare la tua pena per noi?
Questo gli avrei inciso, a caratteri piccoli e poco distanziati, così gli c’entrava tutto in quella fronte da subnormale.
Ecco, la vita da single è costellata di episodi come questo, in cui la bravura sta nel non finire in prigione per reati, che io non esiterei a definire, di legittima difesa.
Detto ciò, c’è l’altra faccia della medaglia.
C’è l’emozione e il divertimento di vivere tanti primi appuntamenti (la maggior parte disastrosi, ma almeno c’è una bella sensazione nel vivere il pre), ci sono le uscite continue con le amiche e gli amici, c’è una libertà assoluta che sfocia nell’anarchia, ci sono la gioia e la curiosità della scoperta, l’esplorazione di una vita dai tratti indefiniti, l’esplorazione di te stessa.
Perché stare in coppia è uno stato di grazia, io ci credo davvero. Ma è da sola che ti conosci più profondamente, riesci a comprenderti, costruisci un tuo spazio personale, e se sei brava te lo costruisci pulito, armonioso, sereno.
 Uno spazio in cui poi è ancora più bello poi far entrare l’altro.
(O non far entrare nessuno eh, come volete).





martedì 1 aprile 2014

Motivi per cui noi donne non facciamo squadra, piuttosto facciamo squadroni della morte per ammazzarci a vicenda.

Ah voglia a mettere su dibattiti sul gherl pauer, sul potenziale bellico di un’alleanza tra donne, sulla solidarietà reciproca che mutuamente ci dobbiamo e bla bla bla…..
Noi donne non possiamo andare d’accordo con il genere femminile indiscriminatamente, vanno fatte delle distinzioni, ed alcune categorie di femmina vanno doverosamente emarginate.
Personalmente il mio criterio di selezione femminile si basa su un semplice parametro: me fai ride? Se sì siamo amiche forever and ever, se no te ne puoi tornare da dove sei venuta.
Qualcuno potrebbe obiettare che il senso dell’umorismo dovrebbe essere richiesto pure all’amico maschio, ma sull’amicizia uomo/donna c’è tutto un altro capitolo da aprire e mo’ non mi va.
Quindi torniamo alle donne. Certe donne sono proprio umorismo-lese, o ancora peggio si credono di essere simpatiche, e poi fino a novant’anni fanno battute da terza elementare che non mi facevano ridere nemmeno quando in terza elementare c’ero davvero, figuriamoci adesso.
Alla fine posso pure perdonarti se non mi fai ridere, ma sei destinata allo sterminio se equivochi/non capisci/ignori le volte in cui a fare la simpatica sono io.
Senso dell’umorismo a parte ritengo che non ci possa essere alcuna base di intesa con le seguenti categorie di donne:
 #1 la zoccola priva del codice d’onore
Cioè: se tu ti fai ogni cosa che cammina, respira, funziona ad energia solare a me va bene.
Va benissimo, anzi, goditi i tuoi coiti e torna con report dettagliatissimi.
MA se ti trombi indiscriminatamente qualsiasi cosa e ti manca la nozione della seguente regola, allora devi mori’ pure tu: IL FIDANZATO, L’EX FIDANZATO, IL FIDANZATO POTENZIALE, IL FIDANZATO IMMAGINARIO, IL TROMBAMICO DI UNA TUA AMICA NON SI TOCCANO!
#2 l’amica che soffre di amnesie temporanee
La soggetta in questione soffre di amnesia quando improvvisamente il destino le regala uno straccio di maschio. In tale circostanza codesta donna si dimentica di avere delle amiche, ti incontra per strada, tu la saluti e lei ti risponde: aiutami a ricordare…te chi cazzo saresti?
Poi però se si lascia torna alla carica per uscire, bere, ballare, all’uopo ti firma anche un contratto per regalarti il suo primogenito.
#3 la figa lessa
La figa lessa ha delle amiche, ma sono tutte come lei.
Ha i capelli sempre perfetti, le unghie sempre smaltate con il semi permanente, ha tutto il campionario della gioielleria Tiffany a forma di cuore addosso, cammina costantemente su tacchi 15, profuma di fragranze da battona rifinita, ha una borsa a scelta tra Louis Vuitton, Fendi e Prada costantemente attaccata all’incavo del braccio.
Come già detto in altre sedi, questo genere di donna ti fa sentire costantemente inadeguata, ma quello che secondo me la rende infrequentabile, è che se c’è una cosa bella nella vita è, qualche volta, LASCIARSI ANDARE.
A volte è bello uscire spettinata, mettersi un paio di trainer, profumare semplicemente di doccia appena fatta e presentarsi al mondo con un minimo di semplicità.
#4 l’altra faccia della figa lessa: la pasionaria
Della pasionaria non si riesce ad essere amiche, perché non conosce il significato del termine futilità.
Con le amiche si DEVE poter parlare della migliore marca di acetone, dell’elastico delle mutande di Intimissimi che cede dopo cinque lavaggi, dei buchi in più di cellulite trovati sulla coscia dopo l’ultimo Big Mc mangiato.
E invece no.
La pasionaria te deve parla’ dell’olio di palma che va boicottato, dell’estinzione della tigre siberiana, della guerra in Cecenia, del ragazzino palestinese che per andare a scuola deve strisciare sui campi minati.
Se si parla di cinema lei deve parlare del film di avanguardia kazako proiettato nel centro sociale che frequenta solo lei, se si parla di musica azzardatevi solo a dire che vi è piaciuto l’ultimo pezzo di Beyoncè…. Vi risponderà che De Andrè non è morto di cancro, ma di crepacuore per i gusti musicali sempre più grossolani della gente.
Insomma, come si dice a Napoli, è ‘nu chiumm.

Tutto ciò porta ad un’ovvia conclusione.
Le amiche accuratamente selezionate nel corso degli anni me le tengo care care, e,  siccome non sono fessa, non le mollo più.
Cia’.