Alla faccia del femminismo, della
parità tra uomo e donna, delle suffragette, ho scoperto di essere afflitta da
una grave ed ostica malattia: LA SINDROME DELLA GEISHA.
Non sono nata tra i monti della
Sila, ho studiato, lavoro, vivo nel 2014 eppure rientro a pieno nella casistica
delle donne che soffrono di questa tremenda sindrome, e la colpa è tutta di mia
madre, già lo so.
Insomma, io faccio gli stessi
orari lavorativi del mio uomo, arriviamo a casa più o meno rincoglioniti allo
stesso livello eppure io non gli permetto di muovere un dito per le faccende
domestiche, tranne rarissime eccezioni.
Non è lui, badate bene, che non
vuole collaborare, sono io che mi metto di punta e insisto per passare l’aspirapolvere,
lavare a terra, lavare i piatti 6 sere su sette, spolverare, cucinare (oh
cucinare davvero, mica la pasta al burro) etc etc etc…
A
volte rasentiamo il litigio, ma è più forte di me, lo devo fare io.
E lo sapete perché? Perché per
colpa di questa maledetta sindrome della geisha io latentemente rifiuto il
concetto che il mio uomo (attenzione, non l’uomo in generale, ma il mio uomo)
faccia lavori cosiddetti “muliebri”.
(mentre scrivo queste ultime
parole mi vergogno come un cane e mi aspetto da un momento all’altro che le
femministe degli anni ’70 mi piombino addosso per picchiarmi come merito).
E la sindrome mica finisce qua.
Chi mi conosce sa che mangio come
i camionisti all’Autogrill, mangio tanto, volentieri e di gusto.
Ucciderei chiunque mi sottraesse
il cibo di bocca.
Ma quando si tratta di servire la
cena a tavola, non si sa come, a lui servo una porzione da bufalo, a me quella
della principessina inappetente.
E la cosa bella è che sono pure
contenta di farlo. Tutto ciò è solo imputabile al mio modello familiare, altrimenti
non si spiega come al solo vederlo con una pezza in mano, l’immagine e l’idea
che ne traggo è quella della svirilizzazione del suo essere uomo.
Razionalmente mi ribello a tutto
questo. Insomma lo so che siamo alla pari, che il nostro tempo libero ha uguale
valore, che i compiti domestici dovrebbero essere equamente distribuiti, però
ad un certo punto prende il sopravvento questa cazzo di geisha che DEVE pulire,
rassettare, servire pranzo e cena a più portate e farlo sentire il re
incontrastato di casa.
Probabilmente se lui invece di
essere così disponibile e collaborativo, mi imponesse le cose che faccio per
lui di mia sponte, la ramazza invece di usarla per pulire a terra, la userei
per fargli dei bozzi decorativi in fronte.
Geisha sì, cogliona no.
Quindi finché questo moto
altruista viene da me, e da me soltanto, allora è qualcosa con cui posso
convivere tranquillamente.
Ma se stessi con un villico
ignorante che desse per scontato che l’addetta a pulizie/pasti/sollazzi fossi
io, allora la geisha se ne tornerebbe in Giappone e la sottoscritta
diventerebbe la paladina del femminismo contemporaneo.
Quindi per ora continuo così
senza troppi rimorsi di coscienza femminista, magari però la prossima volta la
bistecca me la cucina lui, e mi serve pure quella più grossa. Magari. Forse.
Chissà.
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