venerdì 28 marzo 2014

Matteo, 7.1

Tempo fa chiacchieravo con una conoscente.
Questa tizia è una donna sposata, ha una quarantina d’anni, ha un paio di marmocchi. La nostra conversazione verteva principalmente sulla difficoltà del suo essere donna, madre, moglie e lavoratrice, con un marito sempre in viaggio, nessuno che l’aiutasse e peggio ancora con un capo che non capiva le sue difficoltà.
Fin qui, tutto ok.
La cosa ha cominciato ad urtarmi quando ha detto la seguente frase: “ma tanto quello [il capo] come può capirmi? Si sa, è un ramo secco! A cinquant’anni ancora senza figli, un eterno ragazzino!”.
Maro’.
L’ha detto con una cattiveria, una malignità, un senso di superiorità tale… Una superiorità data dal fatto che lei sì  aveva fatto le cose per bene: dopo un ragionevole periodo di fidanzamento si è sposata a 28 anni, con il marito ha viaggiato, fatto carriera, consolidato le reciproche posizioni sociali, e poi ha sfornato un paio di figli, un maschio e una femmina, tanto per essere ancora più in linea con le aspettative di tutti.
Ora, non fraintendiamoci, lei ha fatto benissimo, se così si è sentita di fare e se le sue scelte comunque la rendono felice.
Tuttavia davvero non c’è bisogno di tutta questa cattiveria verso qualcuno che sarà pure uno stronzo, ma che comunque ha il sacrosanto diritto di scegliere di non avere figli senza essere schernito con l’appellativo di ramo secco.
A me questa prepotenza di certa gente sposata e con prole (ma anche senza prole) urta il sistema nervoso.
Dove sta scritto che ad un certo punto ci si deve sposare? Dove sta scritto che se uno decide di non riprodursi deve necessariamente essere un egoista incapace di crescere?
Perché pure questa mi è capitato di sentire: un’amica sposata mi faceva un discorso del tipo “ad un certo punto si deve crescere, pure a me piacerebbe uscire e andare a divertirmi, invece ho deciso che il tempo della spensieratezza era finito e che era ora di farsi una famiglia”.
Quindi famiglia=crescita e maturità, singletudine=demenza giovanile vita natural durante. 
Dal canto mio non sono perfetta… soprattutto in passato l’ho fatto pure io l’erroraccio di dire a qualcuno cose del tipo: “ma state insieme da tanto, non è ora di sposarvi?”, “ma un pupo quando lo fate, c’avete un’età!”, “ma se quella sta da sola da così tanto tempo si vede che il problema ce l’ha lei e non gli uomini che la evitano”
Per carità.
Ad un certo punto del mio percorso esistenziale ho smesso di giudicare. Ho smesso di vedere la vita come un insieme di tappe obbligatorie da raggiungere. Ogni tanto scivolo ancora e la tentazione di giudicare gli altri sulla base delle tappe completate mi viene… però bene o male rinsavisco, e inevitabilmente mi invito a farmi un bel pacchetto di cazzi miei.
Perché in certe questioni il rispetto di chi hai di fronte e la discrezione sono regole imprescindibili.
E se a trent’anni non so se sceglierò mai di avere un figlio, per favore, non giudicarmi. Piuttosto il tempo che sprecheresti per giudicarmi usalo per andare dall'estetista a farti i baffi, che tra matrimonio, figli e lavoro me pari la Frida Kahlo dei poveracci.

Ciao.

lunedì 24 marzo 2014

turlupinare v. tr. [dal fr. turlupiner, prob. connesso con il nome della setta dei turlupins (v. turlupini), che passò a indicare «chi scherza sulle cose di religione, o che ama fare beffe di cattivo gusto»; Turlupin fu poi nome d’arte di un attore fr. di farse, Henry Legrande († 1634), noto anche come Belleville]. – Raggirare, ingannare beffando la buona fede o l’ingenuità altrui: ti sei fatto t.; ti hanno turlupinato, quest’orologio è una patacca!

A trent’anni, se non hai vissuto in un monastero di clausura aspettando l’aldilà, puoi dirne di averne viste un po’.
Che siano capitate a te o ai tuoi amici, il panorama delle storielle si fa sempre più vasto e lo scenario sempre più squallor (in alcuni casi almeno è così).
Stamattina mi sono resa conto che quel cavolo di Sex and the City che qualsiasi femmina fatta a femmina ha seguito con una certa passione negli anni novanta/duemila, non ha pescato i suoi plot dal nulla, ma che certe cose capitano veramente.
Insomma, oggi voglio solo dire che certe volte come ci prendiamo per culo noi donne, non ci prende per culo nessuno. E per prendere per culo intendo dire crearsi una visione immaginaria parallela, in cui la realtà è fatta di marciume e monnezza, ma tu vedi unicorni alati e fiorellini color lillà.
Voglio elencare qui tre esempi piuttosto chiarificatori, che spero possano essere utili a chi leggerà per capire e auto-addestrarsi a non cadere nel vizio della realtà parallela.
Esempio #1: quando lui ti tiene nascosta a tutto e a tutti manco avessi il trichomonas virus, ma tu pensi di essere la sua ragazza ufficiale.
È capitato a tutte più o meno, diciamocelo francamente.
Ma io dico: se dopo tot di tempo di frequentazione questo rapporto non ha mai visto la luce del sole….du’ conti te li vuoi fare o no? Crediamo a tutto, crediamo che non ha i soldi per andare a cena, nemmeno da McDonald’s, e quindi preferisce mangiare a casa tua, crediamo che ama follemente la nostra cucina anche se a tavola portiamo la pasta con il pesto scaduto, crediamo alla storia che ha una rara allergia alla luce e la pelle delicata, e che quindi non può uscire perché se no un fascio di luce lo prende e lui muore.
Passano i mesi, lui non ti presenta uno straccio di amico, un parente, manco suo cugino di quarto grado. Ma tu vai avanti, imperterrita, perché quando siamo innamorate non ci sta niente da fare, siamo cieche sorde e cretine.
Ovviamente storie del genere finiscono perché lui ad un certo punto se ne trova una di cui non si vergogna e a te non resta che attaccarti al tram e tirare forte.

Esempio #2: quando lui ti fa le corna, tutti ti dicono che te le ha fatte, ma tu non ci credi e ti tieni sia lui che le corna.
 Insomma lui ti cornifica. E che vuoi fa’, capita.
Trovi le mutande di un’altra sotto al sedile della macchina; cammini per strada e la portiera del palazzo ti dice: “Ammazza signorì che bel vestito che tenevi ieri sera, che bella coppia tu e il fidanzato tuo”, solo che la sera prima tu stavi a casa con la febbre; lui ti manda un messaggio pieno d’ammmmore però ti chiama con il nome di un’altra….
Oh non ci sta niente da fa’, se non vuoi vede’ non vedi, e partono le giustificazioni….
Le mutande in macchina le avrà lanciate qualcuno dal finestrino per fare una simpatica burla, la portiera è ‘na rincoglionita, il messaggio era per te, ma ti chiama con il nome di un’altra per giocare a fare gli sconosciuti e concludere poi con una parentesi secsi.

Esempio #3: storia tristemente vera. Gli animi sensibili non leggano.
Questa storia (ribadisco, vera) secondo me è la manifestazione massima ed estrema del nostro essere credulone, sceme e pronte a tutto, soprattutto quando meno ne vale la pena.
Insomma ci sono lui, lei e l’altra.
Lui è dal mesozoico che è fidanzato ufficialmente con una ragazza; ad un certo punto però inizia a tradirla con la credulona di turno.
Il fatto però è che lui non ritiene di perpetrare tradimento. Non lo ritiene perché con la credulona, gli unici rapporti fisici che intrattiene, sono…come dirlo elegantemente? Ecco, diciamo che non usa la porta principale, ma quella sul retro. Oh, più elegantemente di così non lo so dire.
Quindi lui tradisce ma non pensa di farlo, e quindi nei confronti della ragazza ufficiale sta a posto.
La ragazza ufficiale non sa niente, quindi sta a posto pure lei.
Resta la nostra amica credulona, che nella vana speranza che lui lasci l’altra per mettersi con lei, accetta remissivamente di essere trattata come il compagno di cella a Regina Coeli.
Ordunque io dico: Donne svegliamoci. E se teniamo amiche che rientrano negli esempi 1/2/3 di cui sopra, svegliamole noi, a suon di schiaffi.
Cia’.




venerdì 21 marzo 2014

La sindrome premestruale – e cioè del perché tu, maschio, ce devi sta’ senza rompe li cocommmeri in quei giorni lì.

La mia fichissima App My days, mi informa che tra una settimana esatta mi verrà il ciclo.
E infatti proprio oggi è iniziato quel fenomeno di cui purtroppo soffro acutamente, chiamato SINDROME PREMESTRUALE.  
Alla sottoscritta la sventura del ciclo è toccata a 10 anni nemmeno compiuti.
Quindi 10+20=30 sono vent’anni che combatto con questa cosa chiamata sindrome premestruale e sono altrettanti gli anni che mi confronto con il maschio che non capisce e di conseguenza si permette pure di prendersela se una settimanella al mese io rompo il cazzo.
Non stiamo parlando di una leggera nevrastenia circoscritta ad un limitato periodo di tempo, oh qua il discorso è serio.
Qua si parla di:
1.       Capelli untissimi due secondi dopo esserti fatta lo shampoo
2.       Dolori e crampi in ordine sparso
3.       Fame vera, quella fame che hai i primi giorni di dieta, dopo l’influenza, in vacanza in un posto dove ti fa cacare tutto. Fame che non discrimina tra dolce e salato, fame che vuole tutto e subito, che non rispetta gli orari comandati, che non guarda in faccia a nessuno.
4.       La lacrima facile.
Piangi per il motivo serio come per il distributore di schifezze che ti frega i soldi e non ti rilascia la barretta di Mars, piangi perché ti senti un cesso, piangi perché non vai al cesso, piangi perché la vita è un cesso.
5.       Nervosismo e irritazione con la pala.
Diciamocelo, con o senza SPM, la vita è una questione di pazienza. E normalmente se uno più o meno desidera inserirsi nel contesto civile, DEVE avere pazienza.
Pazienza e tolleranza. La gente puzza, rompe le palle, non ride alle tue battute, mangia a bocca aperta, si veste male. Se normalmente riesci a tollerare tutto ciò con nonchalance, quando sei in sindrome premestruale il killer che alberga in te è pronto ad uscire fuori e fare la strage del secolo anche solo con lo scopettino del water in mano.
6.       I brufolazzi. Che non riesci a tenerti lì, sulla faccia. Te li fai esplodere quando ancora non è il momento di farlo, e ti crei certi di quei crateri che poi vai in giro e sembri malata di lebbra e la gente ti guarda (nel mio caso) e pensa: vedi te ‘sti extracomunitari che vengono in Italia a portare le malattie del terzo mondo.
7.       La vita sessuale si connota di isteria pura: te la do, anzi non te la do più, però voglio i preliminari e le coccole altrimenti mi sento usata, anzi no i preliminari perché è meglio una sveltina, sto sopra io, anzi no perché mi si vede la panza, ma se stai sopra tu non sopporto il peso della vita, figurati quello della tua persona addosso…. (ecco, forse questo è l’unico frangente in cui se lui ti manda a fanculo e ti prende a capate in bocca tiene ragione).
Insomma, alla luce di tutto ciò, lo capisco, un uomo può seriamente considerare l’opzione omosessualità, però deve anche capire che per le donne non è una scelta essere rompicoglioni, unte, piagnucolanti e isteriche in quei giorni.
È un fatto di natura. E con la natura, benigna o maligna che sia, tocca convivere. Pace, stop, punto.
Ciao, ora  vado a comprarmi la Somatoline pancia e fianchi, che mi sento grassa e mi viene da piangere.

lunedì 17 marzo 2014

Il dramma della convivenza (dal punto di vista delle donne) [secondo me].


Che bella la convivenza, che bello non dover arrivare alla fine del weekend e vederlo tornare a casa sua, che belli gli abbracci continui, che belli i pranzi e le cene insieme, che bello tutto.
MA.
Il ma è in agguato.
Se sei sfigata il dramma consiste nel convivere con qualcuno che nella vita di tutti i giorni sembra normale, appena entra in casa si trasforma in un grizzly.
Se invece sei fortunata, ed è il mio caso, ti capita qualcuno più ordinato e preciso di te, rispettoso degli spazi reciproci, collaborativo e disponibile.
E allora il mio dramma dov’è?
Il mio dramma quotidiano, che non capisco come non possa ancora essere stato trattato da Sandro Mayer in Dipiù, è legato ad un tabù ancestrale che riguarda la figura della donna correlata ad un fenomeno naturale e umano: la scorreggia.
Gli uomini credono che le donne non scorreggino, alcune donne (tacci loro) avvalorano questa falsa credenza, il risultato è che fino a che non convivi il fenomeno è facilmente occultabile, ma quando condividi le stesse sottili pareti….allora lo psicodramma è dietro l’angolo.
La tua vita diventa un incubo fatto di gas repressi, gonfiori addominali, un approfittarsi continuo delle sue assenze sul balcone per fumarsi una sigaretta.
Ma arriva ad un certo punto il momento in cui la vita ti chiede il conto.
Quel momento coincide con quelle ore, in cui, volente o nolente, ti devi rilassare per forza di cose: il sonno notturno.
Se dormo non posso avere controllo su niente, dormo e punto.
E i gas repressi durante le ore diurne se ne approfittano e fanno come cazzo gli pare.
E succede che ti svegli nel bel mezzo della notte a causa di un rumore assordante e pensi: Sta partendo lo Space Shuttle da Primavalle. E invece è solo una scorreggia fotonica che è partita da un’altra parte.

Ps: ovviamente quanto ho scritto è pura fiction.

Se pure fosse vero non sarei io, è un’amica mia.

giovedì 13 marzo 2014

Il mondo è una giungla, anzi no, una palestra.


Ultimamente sto simulando attività fisica due/tre volte la settimana, pertanto dopo il lavoro mi reco nella palestra vicino casa, e lì, oltre a sudare copiosamente, ho modo di osservare la fauna locale.
Premesso che vivo in un quartiere popolare e che c’è un livello di coattume che sfonda la stratosfera, alla fine mi sono resa conto che i personaggi che frequentano le palestre sono sempre più o meno gli stessi, a prescindere che la palestra sia in centro piuttosto che in periferia.
Li ho categorizzati in questi macro gruppi:
1.       I palestratissimi
Girano in micro-canottazza, preferibilmente bianca, hanno la circonferenza toracica di un rinoceronte,  camminano ondeggiando le spalle e fissando un punto in lontananza,  ma con la coda dell’occhio si vede che guardano se tu li stia guardando o meno.
Mi lasciano sostanzialmente indifferente dalla testa al ginocchio, ma dal ginocchio in giù li trovo ESILARANTI: alla maxi ampiezza del tronco superiore si contrappongono due miseri polpaccetti, due coscette di pollo stantie, la pena assoluta, la miseria più nera.
Vi pesa tanto il culo ad allenare con altrettanta dovizia le gambette?
Poi non paghi del fatto che gli arti inferiori siano sotto sviluppati, tentano malamente di impreziosire queste canne di bambù con tatuaggi dell’ultima ora, di solito draghi o boa, che svettano su pelli bianchicce e ossa rachitiche.

2.       La puttanella agghindata
Mi fa proprio ridere.
Viene in palestra con i capelli piastrati, il braccialetto di Tiffany con il cuore accuratamente legato al polso, micro canottiera (in pendant con il palestrato) con push up strizzatette, tre chili di trucco in faccia – matita attorno alla bocca, rossetto acceso, fondotinta di tre tonalità più scure del suo reale incarnato.
Di solito è già magra, quindi palesemente viene in palestra per rimorchiare la categoria di cui sopra.
Si piazza su un attrezzo a caso, ma preferibilmente quelli dove può tenere il culo pizzo e stare un pochino in alto così tutti la vedono meglio.
Non si allena ovviamente, se no suda e le cola il trucco, quindi staziona sull’attrezzo, di solito intensamente impegnata in fitte conversazioni con l’amica di turno, parimenti puttanella, parimenti agghindata.

3.       La zitella di mezza età che si sfonda
Sono bruttine, sono stantie, sono single o forse no.
Il punto è che si SFONDANO. Le vedi che si accaniscono sul macchinario o nell’ora di aerobica manco fosse la maratona di New York. Sudano, diventano violacee, soffrono, si deformano per lo sforzo, eppure vanno avanti come se niente fosse. Per colpa di queste soggette lo spogliatoio femminile finisce per puzzare come quello maschile, devo usare km di carta assorbente alla faccia delle foreste amazzoniche per asciugare le pozzanghere che lasciano, inoltre mi fanno sentire sempre e comunque come quella che in palestra si fa le unghie piuttosto che faticare, visto che io non mi deformo e non puzzo come loro.


4.       Le figlie dei fiori / le vecchiacce
Sono la categoria che più detesto in assoluto, quella che di fatto mi induce ogni volta, dopo l’allenamento, a tornare a casa a docciarmi piuttosto che lavarmi in palestra.
Si tratta di quelle donne che o per nascita (figlie dei fiori) o per età (vecchiacce) non conoscono il concetto di PUDORE.
Si spogliano sbattendoti il culo in faccia, se non altro, non si depilano, o lo fanno troppo, se per vestirsi o svestirsi ci vogliono in media due minuti, loro, per non so quale mistero della fede ce ne mettono venti.
E quindi tu stai là che devi subirti carni flaccide, cellulite, smagliature, pertugi, insomma tutte cose che se sei un minimo eterosessuale e riservata da quel punto di vista lì ti fanno solo venir voglia di perdere peso vomitando anziché andando in palestra.

5.       I viscidoni
Sono di mezza età, hanno la panza, frequentano i corsi di fitness e guarda caso si piazzano in ultima fila a lezione, chissà perché.

In conclusione dopo la palestra io mi sento meglio, non solo perché mi sento più tonica e in forma, ma anche perché questa umanità diversamente umana mi rimpolpa l’autostima.

Ciao.