mercoledì 17 dicembre 2014

Canto (stonato, stonatissimo) di Natale.

C’era una volta un paesello piccolo piccolo nel centro di Roma, al quinto piano di un palazzo vicino a Via Veneto.
Il paesello era popolato da soggetti di diversa natura, orchi, megere, goblins e chi più ne ha più ne metta e nonostante il diverso grado di follia e asocialità, l’equilibrio nel paesello più o meno si reggeva.
Un giorno di Settembre arrivò nel paesello un nuovo personaggio, la piccola Sgualdry.
Costei era una ragazzetta di 25 anni, alta un metro e dieci, ma con il nasino all’insù, lo sguardo impertinente e due tette esagerate.
Nonostante le megere presenti nel paesello fossero infinite volte più belle, intelligenti, raffinate della piccola Sgualdry, si sa che la novità ha più appeal della routine, per cui si assistette ad un aumento del grado di scimunimento della popolazione maschile del paesello.
La megera più cattiva di tutte, Asma, trovava la presenza di Sgualdry intollerabile, perché non ne sopportava l’impertinenza, le arie da smorfiosa, ma soprattutto l’approccio con il sesso opposto che inevitabilmente passava per un canale univoco: il flirt sessuale.
Dopo i primi giorni di rivoluzione, la povera Asma e le amiche megere, scelsero  la via dell’indifferenza e tutto per qualche mese si risolse in uno stato di tregua armata.
Giunse Dicembre e con lui  l’attesa del Santo Natale.
Sgualdry, accettata nel paesello solo per svolgere un compito di qualche mese, si apprestava a terminare la sua esperienza al quinto piano, di quel palazzo, proprio dietro a Via Veneto.
Il Capo di Sgualdry, si aggirava per le vie del paesello, narrando ai passanti: Sapete, Sgualdry il prossimo venerdì ci lascia, ahimè ahimè.
Accadde però un fatto.
La settimana precedente al commiato di Sgualdry, si svolse l’annuale festino natalizio nel paesello.
Tra fiumi di alcol, cibo scadente e gente molto rilassata, accadde il miracolo. Il miracolo di Natale.
La piccola Sgualdry, fasciata di fintapelle e truccata da drag queen, con mossa atletica si è lanciata sul Grande Capo nel bel mezzo dei baccanali.
Incurante del paesello che guardava, incurante dei giudizi, incurante della morale.
Quella notte la piccola Sgualdry si è adoperata alla causa. E a quanto pare si è adoperata bene, poiché MIRACOLO!!!! Contratto rinnovato, gente meritevole perculata e la dignità della donna moderna che si va a fare un viaggetto nello scarico del cesso.


PS: ‘ste cose manco negli anni ’50.

mercoledì 5 novembre 2014

All I (don't) want for Christmas is Christmas.

Mi sembra ormai improcrastinabile un mio intervento duro e severo su una tematica molto molto ma davvero molto importante.
È d’uopo ricordare ai più che le celebrazioni natalizie sono tollerate nel periodo ad esse consacrate, ovvero: dall’8 Dicembre, data in cui vi montate a casa alberello, presepio e decorazioni di dubbio gusto (si annoverano renne, babbi natale finti che si arrampicano sui balconi e che mi fanno sempre prendere un colpo perché sembrano ladri in azione, lucine colorate a intermittenza che fanno venire l’epilessia, vischio importato dall’Ammeriga per avere la scusa di pomiciare ogni tre per due) al 26 Dicembre, giorno in cui vi spanzate sul divano dopo aver ingurgitato tutto quello che non vi siete mangiati il resto dell'anno.
Ecco, ripeto, 8 dicembre-26 dicembre.
Fatevi un conto, sono ben 20 giorni in cui potete sfogare tutto il vostro amore verso questa festività, essere più buoni, spendere soldi in regali brutti, cantare All I want for Christmas is you e Last Chrismas e So this is Christmas,  andare in giro con le corna di renna in testa, addobbarvi con i festoni dell'albero, guardare Briggetgions, mettervi i maglioni rossi con le palle di neve bianche, spararvi in vena i pandori ripieni di crema e Nutella.
Oh, so' tanti 20 giorni.
Ed in questi giorni, chi come me, detesta il Natale se deve sta' zitto, 
Ma nel resto del tempo, fate il favore, state zitti voi.
Inaccettabili i panettoni al supermercato da Ottobre quando ancora andiamo in giro con le maniche corte, inaccettabile la pubblicità sui siti di e-commerce con il continuo invito a fare i regali di Natale già due mesi prima, inaccettabili le ricette natalizie in vista del menù da servire al cenone.
Oh, avete rotto.
Si deve capire che il Natale non è una roba che piace universalmente come i cuccioli di Labrador.
Il Natale a certa gente fa schifo.
Odiare il Natale comporta già affrontare 20 giorni difficili e complicati. Aggiungere il caricone da 11 iniziando a rompere le palle con il Natale due mesi prima è abuso pissicologico ed io non ci sto.
Mi ribello. 
Vi picchio.

Poi se al terrorismo natalizio aggiungete la domanda: Che fai a Capodanno?
Giuro, vi attacco al muro e gioco a freccette con le vostre fronti.

Ciao.

lunedì 13 ottobre 2014

Giannimorandi.

Come un altro milioncino di persone ho messo il like sulla pagina FB di Gianni Morandi.
Non sono fan delle sue canzoni, mi fa schifo il suo modo di cantare così retrò, mi fa schifo la sua voce, se guardo le sue manone mi impressiono.
Eppure…
Eppure ho messo like. Ecco perché:
-          Il vero nome di Giannimorandi, è Gian Luigi. Vi dico, leggere i suoi post, pensando che sono stati pubblicati da Gian Luigi Morandi mi fa riderissimo.

-          Giannimorandi fa la vita che tutti noi vorremo. Ammettiamolo. Questo vive in una bellissima casa in campagna, va a correre, magna frutta e verdura presa dal contadino, va in vacanza spessissimo, ha la moglie ancora trombabile, quando gli va prende la chitarra e canta una canzone.
Addirittura ha un figlio che a 18 anni suonati non lo manda a fanculo come tutti gli adolescenti del mondo, ma va persino in vacanza con lui.
O è tutta una gigante pantomima e in realtà con quelle manone picchia moglie, figlio adolescente e contadino che gli vende la frutta, o davvero Giannimorandi si è costruito la piccola oasi di pace che tutti noi vorremmo.

-          Il gergo di Giannimorandi mi fa impazzire. Mi piace quando scrive autoscatto e non selfie, mi piace quando scrive clippino ogni volta che posta un video, mi piace il fatto che la sua grammatica sia sempre precisa e puntuale, nonostante come Wikipedia ci insegna, sia figlio di un ciabattino e a scuola praticamente non c’è andato.

-          Giannimorandi ha 70 anni. Oh, 7+0. Ma grazie al parrucchiere che gli fa la tinta e il dentista che gli ha fatto i denti, sembra un pischello. Ha un bellissimo castano mogano che mi farò anch’io quando sarò vecchia. Andrò dal parrucchiere e dirò: parrucchiere, fammi i capelli come Giannimorandi, il castano mogano di Giannimorandi.

-          Giannimorandi ha una dote secondo me encomiabile: il garbo.
In un mondo in cui il vaffanculo è sempre dietro l’angolo, egli agisce con un irriducibile garbo alle prese in giro più stupide, non cede alla voglia di mandare a quel paese, resiste impavido.
O si droga, o è furbo, o ha la capacità di fare la gente fessa e contenta.
Negli ultimi due casi lo invidio tantissimo.

-          Ultima ragione: ho mentito. Non è vero che non sono fan di TUTTE le sue canzone. Di una sono una grande estimatrice: “ In amore”, Sanremo 1995, Giannimorandi e Barbara Cola.
Un capolavoro del genere patetico e amoreccio. Battuta  solo dalla coppia Baldi/Alotta con Non amarmi.
Ogni volta che la sento torno la cessa che ero a 12 anni e canto con occhi sognanti:


Dimmi dove (quando)
Quando (dove)
Caro cuore, io non vedo che te

Ti sto raggiungendo (dove)
Fino al cuore (quando)
Ora

Ti supererò,
In amore andrò
Oltre la parola amore
E non torno più


Che pena.

venerdì 10 ottobre 2014

Lo zen e l’arte del non filarsi di striscio le zoccolette (se sapete come si fa, insegnatemelo).

Come starnazzato in più contesti, ultimamente ho intrapreso una guerra immaginaria con una ragazzetta che da qualche tempo ha avuto la sfortuna di incrociare il mio cammino.
Certamente non è la prima gatta morta di cui ho l’onore di fare la conoscenza, ma questa ha qualcosa in più che mi fa uscire letteralmente di capa e vorrei capire cos’è.
Dunque, analizzando razionalmente e freddamente la questione, la prima cosa che mi indispone è la sua totale inadeguatezza nel vestirsi. Sembra voler deliberatamente ignorare il fatto di trovarsi in un contesto lavorativo, con clienti che spesso e volentieri vengono a farsi due chiacchiere ed il fatto che le chiacchiere non se le facciano con lei non è una giustificazione a vestirsi ad capocchiam.
La ragazzina è generosamente dotata dove occorre, e strizzata com’è nei vestiti che porta la cosa non passa inosservata. Non è però solo un problema di strizzamento carni…
Le sue mise mi sembrano più adatte per andare a farsi un bagno a Ostia, le canne sui prati, un concerto in piazza. Madre Santissima di Dio sembro mia nonna bacchettona in carriola quando scrivo queste cose, ma che devo fare, se ci si potesse vestire a cazzo di cane in ogni contesto allora sarebbe il mondo ideale, ma il mondo ideale non esiste, quindi ho ragione io e zitti tutti.
L’aspetto legato al vestiario però è solo la punta dell’iceberg.
Questa ragazzina mi indispone perché è una zoccoletta. Intendiamoci, magari è una fidanzata fedele e irreprensibile con una spiccata vocazione alla santità.
Quello che vedo io però è una Lolita. Ecco cos’è che mi manda ai matti: l’atteggiamento loliteggiante.
Qualsiasi uomo si trovi davanti, non importa se cesso a pedali, vecchio, giovane, lebbroso, con herpes genitale o meno, lei FLIRTA. È una cosa sottile, fatta di sguardi, sorrisi, battiti di ciglia.
Gli uomini in questi casi si rincoglioniscono a bestia e non capiscono più niente. Poi in questo caso il disorientamento aumenta perché c’è anche un ulteriore grado di difficoltà: guardarle gli occhi e non le tette.
Alle donne invece la modalità civetta non sfugge. MAI.
Io la guardo in azione e penso solo: ora la prendo e la frullo in Tagikistan.
Mi urta lei sommamente, ma mi urta pure la vittima di turno, il quale non può che essere rimirato dalla sottoscritta con lo sguardo che dice chiaramente: Ma quanto sei poraccio.
Non credo nemmeno che l’atteggiamento zoccoleggiante sia una cosa studiata, penso proprio che le venga naturalmente. Questo per me non rappresenta un’attenuante, mi da ugualmente fastidio. Mi da fastidio perché crea una tensione sessuale mica cazzi, perché innesca dinamiche pietose, perché rende patetici gli uomini che ci cadono, perché imbestialisce me che queste cose non le sopporto.
Ovviamente il commento più immediato a questo post sarà: sei invidiosa.
La risposta è no, non sono invidiosa.
Solo esprimo una preferenza: preferisco cioè quelle persone che si interfacciano con l’umanità non utilizzando il fattore sessuale come strumento di approccio, ma altro.
Punto.
Non vedo proprio la necessità di zoccoleggiare h24 e in maniera randomica. Davvero, non è necessario.
Ed è pure controproducente.
Per dirne una, l’altro giorno è venuta una a fare il colloquio in ufficio. Casualmente mi trovavo davanti alla porta e l’ho vista. Mi è cascata la mascella a terra.
1.80, super tacconi, minigonna, tribale sulla coscia, maglietta bianca strizzatissima, trucco e capelli da vamp, naso/labbra/tette rifatte.
Risultato: non solo ovviamente non è stata presa, ma chi le ha fatto il colloquio ha chiamato l’agenzia interinale per fare la seguente domanda: MA/CHI/CAZZO/AVETE/MANDATO.
Bruciato il lavoro, bruciata l’agenzia.
Ne vale la pena?

Io dico di no.

venerdì 5 settembre 2014

Giochiamo a Tetris?

Ho commesso un errore di valutazione.
In sostanza sono tornata dalle vacanze e non ho avuto l’accortezza di concedermi un periodo di transizione in cui sgarrare un po’, da tutti i punti di vista. Avrei dovuto cioè prendermi un po’ di tempo per dormire, per mangiare schifezze qua e là, per rilassarmi un attimo.
Invece ho ripreso la solita vita senza cesure e senza concessioni ed ora mi sento una chiavica.
Il solo ed unico Lucio cantava “Ma l’impresa eccezionale dammi retta è essere normale” e teneva ragione da pazzi.
La normalità di una donna è un’impresa eccezionale, lo vedo e me ne accorgo sempre di più. Siamo eroine, altroché.
Tutto inizia la mattina appena sveglie. Innanzitutto trovare la forza di lasciare il letto, poi alzarsi e lavorare duramente davanti allo specchio per coprire le occhiaie, rimpolpare le rughe con la crema e darsi una truccata per togliere quella strana patina (giallastra nel mio caso). Segue la vestizione, con un quarto d’ora perso a chiedersi cosa mettere o cosa non mettere, scegliere qualcosa e poi toglierselo perché fa il culone, infine indossare i soliti quattro stracci da ufficio. Poi c’è il quarto d’ora perso davanti alla scarpiera: quando trovi la forza metti i tacchi, accettando di aggiungere altra sofferenza alla giornata oltre alla dose abituale, altrimenti dici: ma andatevela a pijà in der ….  E metti le ballerine.
Segue giornata lavorativa di ore 9, durante la quale lo sforzo non è tanto quello di lavorare, ma di non mandare a fanculo colleghi, capi e clienti vari. Pausa pranzo in cui oltre a mangiare di merda, devi pure fare lo sforzo di fare conversazione con il collegame, quando invece vorresti solo silenzio catatonico, pasta al sugo e tv sintonizzata su Studio Aperto. O su Beautiful, che non vedo da quasi sei anni e non so più chi si tromba cosa, quando e perché.
Poi esci e si palesano le seguenti opzioni:
-          Spesa al volo, palestra a soffri’, preparazione della cena, lavaggio piatti,  interazione di coppia (varie ed eventuali)
-          Spesa, preparazione della cena, lavaggio piatti, interazione di coppia (varie ed eventuali)
Sembra facile, ma la palestra come la metti la metti è uno strazio. Stai lì a soffrire e a sudare, pensando solo: ma quanto so’ stronza.
La cena è un altro psicodramma, perché il manuale della vita sana e dei buoni propositi dice che:
no carne rossa, no fritti, no salumi, no formaggi, no pasta.
Resta tutto il resto,  resta la voglia di mangiare cose sane, cucinate però in maniera creativa e non ripetitiva, resta comunque la voglia di stupire chi sta a tavola con te.
Tutto ciò sommato = grandissime pippe mentali su cosa preparare per cena.
In codesto marasma, ogni tanto, non la fai un po’ di vita sociale? Non fai le pulizie di casa? Non ti fai un pochino bella, passando lo smalto, disboscando e facendoti i capelli?
Insomma, tutto questo per dire che questo gioco di incastri, che ricorda tanto il Tetris, è difficile e faticoso e mi lamento io che non ho figliame da tirare su, figuriamoci le donne che lavorano e crescono pure dei figli.
In conclusione sono un pochino stanca, però mi stimo perché non mollo e non ho intenzione di farlo.
E stimo tutte quelle che ci riescono meglio di me, ad essere amiche, figlie, fidanzate/mogli, lavoratrici,  con aspetto curato e forma fisica decorosa, isteria e lacrime free.

Questo post ordunque per dire: Amiche, vi stimo.

mercoledì 6 agosto 2014

Break up rule nr.1

Ho scoperto una cosa: non si usa più trascorrere un periodo di lutto alla fine di una storia d’amore.
Praticamente funziona così, appena si subodora che qualcosa nella relazione sta per andare a puttane, si cominciano a tirare i remi in barca e a guardarsi attorno.
Se poi attorno hai i sosia di Camilla Parker Bowles o di Renato Brunetta, uno sforzo per far funzionare le cose allora lo fai.
Ma metti caso trovi qualcuno che non ti fa vomitare, alt! Sei mirabilmente pronto a interrompere la relazione, ad essere integerrimo nella tua decisione di troncare e pronto a buttarti a capofitto nella braccia dell’altro/altra.
Questo succede perché stare da soli non è più un’opzione percorribile, perché è meglio accontentarsi piuttosto che restare con il culo per terra, perché tra i due membri della coppia che si sfascia non devi essere tu quello che finisce solo e disperato.
Comunque io dico che tutto ciò va benissimo ed è umanamente comprensibile.
Dico no, quando non si ha la minima sensibilità di osservare un minimo di discrezione nei confronti del proprio ex e si sbandiera a destra e a manca la nuova fiamma. Ecco, allora lì sei proprio uno stronzo/a.
Lasciarsi è una delle esperienze umane più strazianti. Non serve metterci pure il caricone da 11.
Dunque poi non ti lamentare se l’ex rimasto solo e derelitto poi ti fa stalking e ti fa il pianto greco al telefono un giorno sì e l’altro pure.
Anche perché ricorda: oggi a un altro, domani a te.



giovedì 17 luglio 2014

Fedeli allo stereotipo, nei secoli dei secoli.

Ultimamente se vi fate un giretto nella metropolitana romana, oltre a incontrare sorci, borseggiatori e gente che puzza è facile che vi imbattiate in questo manifesto pubblicitario:
Non so a voi, ma a me questa fotografia  fa sommamente incazzare.
Penso alle orde di turisti che si trovano di fronte questa foto di merda e si vedono confermata l'idea degli Italiani che se magnano la pasta dalla mattina alla sera, con le tovaglie a quadri, la fiasca di vino e l'espressione bovina in faccia.
E non è solo la faccenda dei turisti che mi indispone.
Secondo me questa immagine disturba lo stesso italiano che si trova a guardarla.
Ma io dico:

- questi tre pirla si trovano a tavola a mangiare tre chili di pasta dalla stessa cofana. A parte che fa tanto Miseria e nobiltà, ma poi manco i cani ormai mangiano tutti dalla stessa ciotola. Se qualcuno servisse a me la pasta nello stesso piatto in condivisione con altri io mi incazzerei come una bestia, mica per questioni di igiene eh, la questione è che se si mangia tutti dallo stesso piatto quello più prepotente finisce per metterla in quel posto a quello più timidino, e a me tutto potete fare, tranne che togliermi il cibo di bocca.
Ognuno mangi dal piatto suo, nelle medesime quantità, e nessuno si farà male;

- in questa foto su tre cazzoni, solo uno tiene la forchetta come si deve. Gli altri due hanno chiaramente problemi a familiarizzare con il concetto di pollice opponibile. Ciò è deleterio, perchè i bambini innocenti guardano questa foto e pensano che tenere la forchetta in mano come una scimmia sia cosa buona e giusta, quando invece è tutto il contrario, con contorno di mazzate;

- ma quando mai la gente pasteggia bevendo simultaneamente vino rosso, vino bianco, Chinotto e aranciata, roba che secondo me ci stiamo facendo schifare persino dagli ammerigani, e ho detto tutto.
A tavola si beve acqua e/o vino. Il resto è ammissibile se minori di anni 12 o se astemi ortodossi.

Insomma già per me la metropolitana sta diventando un luogo ormai insopportabile, non mi fate pure rodere il culo con questi manifesti che inducono il turista a sentirsi legittimato a fare l'equazione Italia = pizza, pasta, mandolino.
E su.



venerdì 11 luglio 2014

Se fossi sindaco.

Allora, la sottoscritta dice ABBASTA.
È ora di riforme, di cambiamenti sostanziali, di provvedimenti vigorosi ed efficaci.
Quindi per un mesetto o due mi propongo sindaco di questa stramaledetta città e voi mi dovete votare TUTTI.
Non pretendo certo che mi votiate sulla parola, di seguito il mio manifesto politico, da tramandare alle future generazioni in saecula saeculorum:
#1 Spartaco
Il mio primo provvedimento riguarda una spinosissima questione: quella delle scale mobili in metropolitana.
La gente deve ficcarsi nella testa che quando ci si piazza sulle scale mobili, ci si mette a destra se si sta fermi in modo da lasciare spazio a sinistra chi vuole mori’ de infarto a farsi le scale mobili a piedi.
Invece non si sa come che sistematicamente, ogni santa mattina, assisto a gente che litiga e dice sempre la solita sequenza di banalità:
“Eh ma in Europa lo sanno tutti che se si sta fermi si sta a destra”
“Eh ma dobbiamo sempre fare la figura del terzo mondo davanti ai turisti”
“Eh ma io devo andare a lavoro, fateme passa’”
Etc etc etc…
E allora ecco la soluzione:
su ogni scala mobile della metro si piazza un gorillone gigante che arbitrariamente definiremo Spartaco. Spartaco avrà il compito di prendere di peso tutti quelli che stanno fermi a sinistra non lasciando passare le persone, sollevarli a tre o quattro metri da terra, quindi lanciarli con la velocità del vento in fondo alle scale.
Poi voglio vedere se si piazzano di nuovo a sinistra a bloccare il passaggio.
# La questione canina
Quanto sono belli i cani. Sarò un sindaco super sensibilizzato sulla questione cinofila.
Quelli che mi piacciono poco assai sono i padroni dei simpatici cagnolini, i quali non si pongono il problema di raccogliere i bisognini dei suddetti, trasformando ognuno di noi in esperti slalomisti.
Ebbene, è ora di dire basta.
Personale altamente qualificato sarà incaricato di monitorare con discrezione la situazione. E non appena uno di questi disgraziati fa cacare il cane per strada per poi procedere oltre senza raccoglierla, l’addetto alla vigilanza di turno deve opportunatamente seguirlo fin dentro casa, entrare con la forza, e cacare a sua volta sul pavimento del maleducato cafone ignorante.
Voglio dire: almeno dal pavimento di casa loro, la cacca la toglieranno?
# L’annosa questione: ma i vecchi che prendono l’autobus alle sette di mattina insieme ai lavoratori, ‘ndo cazzo vanno?
Come sindaco non posso dare una risposta a questa vecchissima questione, anche perché secondo me non c’è risposta.
Io non lo so dove vanno i numerosissimi pensionati che la mattina affollano i bus della capitale, però essendo stata per anni una fruitrice dei mezzi Atac, so perfettamente quello che dicono.
“Ah quanno c’era il Duce i mezzi volavano”
“Ah sti ragazzini nun te fanno sede manco se li prendi a schiaffi”
“Ah ‘sti auti non passano mai e stanno sempre a sciopera’”
“Ah ‘sti ragazzini quando salgono sull’auto devono togliersi lo zaino che occupa spazio”
Poi la cosa bella è che uno magari deve andare a lavoro e sta pure un poco in ritardo, eppure non riesce a salire perché preso a gomitate dalla vecchia di passaggio, che fino a un momento prima sembrava paralitica, poi quando si tratta di salire sull’autobus e prendere il posto sembra Bolt ai 100 metri.
Qua non c’è molto da fare in realtà, quindi l’unica soluzione prospettabile è: l’apartheid.
Gli autobus del lavoratore/studente, gli autobus del pensionato.
Aoh, mica li posso ammazza’ del resto.

# Coattometro
Grandissimo e secolare problema di questa città è il coatto.
Il coatto sotto la mia direzione deve spari’.
Non voglio più vedere in giro queste persone incapaci di usare il condizionale, di coprirsi il culo (basta con questi pantaloni a vita bassa con tutte le mutande CK o D&G di fuori!!!), di esprimersi in un gergo comprensibile, di mettere un cappello per il verso dritto, di parlare di qualcosa che non sia ‘a Roma e ‘a Lazio e di non saper chiamare l’amico/amica per nome ma solo con gli appellativi amo’ e teso’.
A lezione di civiltà. TUTTI.
E se non imparano e pure in fretta: cinquine a mano aperta, di quelle che lasciano i segni rossi sulle guance.

# La Movida
Già che ho utilizzato il termine movida meriterei una buona dose di vergate.
Però non so come altro chiamarla. Dunque. Non è possibile che il sabato sera, in una città di tre milioni di abitanti, due milioni e mezzo si trovino a Trastevere. 
E allora come sindaco vi propongo una bella app con il contapersone. Ogni settimana ci si prenota per andare a bivaccare a Trastevere tramite l’applicazione, appena raggiunto il numero X gli altri se la prendono nel secchio e si dirottano nei quartieri alternativi della movida romana.
Se proprio non c’è spazio a Trastevere, Testaccio, Garbatella, Prati, Pigneto, San Lorenzo, aoh, stattene a casa e sfogliati le Pagine Bianche.
Almeno non passi tre ore come uno stronzo sul Lungotevere a cercare parcheggio.

Per ora il programma a grandi linee è questo.
Ma come in ogni democrazia che si rispetti, sono aperta a suggerimenti, proposte e opinioni.
Purchè non vadano contro quello che propongo io.
Ciao.



martedì 17 giugno 2014

Gioie (poche) e dolori (tanti) dell’open space.

Solitamente, quando si pensa alla salute dell’impiegato in un ufficio, si pensa ad assicurargli sedute ergonomiche, scrivanie ben spolverate, schermi sufficientemente grandi in modo da non cecarlo prima del tempo e nei casi più fortunati, gli si forniscono acqua e caffè per mantenerlo idratato e sveglio.
Spesso però, il datore di lavoro, non considera la salute MENTALE del povero impiegato, mettendone a dura prova pazienza e tolleranza nel momento stesso in cui si decide di piazzarlo in un open space.
Posto che non si può certo pretendere di avere una stanza tutta per sé e che la convivenza con gli altri sul lavoro è una più ampia metafora della convivenza civile nella vita di tutti i giorni, il datore di lavoro dovrebbe fare attenzione a non assumere determinati soggetti e soprattutto a non metterli seduti in un open space.
E questo perché poi succedono cose tipo queste:
#parlare da soli e spaventare a morte il tuo dirimpettaio di scrivania
Come nel servizio militare, anche nei colloqui di lavoro dovrebbero fare i test di salute mentale.
Perché non può accadere, ripeto non può, che uno si sta facendo i beati cazzi propri a lavoro e quello che tieni davanti inizia a fare DA SOLO: ciao, ciao, si tutto bene, si si, tutto a posto, ciao, ciao, vabbe sì  o ancora peggio fa finta di parlare al telefono, telefono che immancabilmente inizia a suonare proprio mentre lui sta parlando.
Non può essere perché poi uno giustamente si caca sotto e a lavoro ci viene temendo che prima o poi il pazzo non si accontenti di parlare da solo e che si presenti con un bazooka per fare una strage.
#scegliere di non lavarsi e/o non usare il deodorante
Ok. Passi per i mesi invernali, che uno c’ha freddo e quindi quell’odore de’soffritto aglio/cipolla te ricorda il calore della cucina familiare e il sugo con le spuntature di maiale.
Però d’estate te devi’ lava’, senza se e senza ma.
Già muoversi per i mezzi pubblici è straziante, almeno a lavoro non dico che si debba sentire profumo di rose, ma la cipolla andata a male nel secchio non è tollerabile.
#la prepotenza del maschio nella questione temperatura ambientale
Come ho già detto in un’altra sede, i colleghi uomini, se hanno caldo, per quanto mi riguarda possono venire in bermuda e infradito.
Ma non possono e non devono procurarmi svariati malanni stagionali, aprendo la finestra in giornate con  -10° oppure mettere l’aria condizionata a palla d’estate, che non si sa per quale arcano motivo si convoglia TUTTA sulle reni della sottoscritta, e poi vallo a spiega’ alla gente che è per l’aria condizionata in ufficio che ti muovi come Robocop.
#strillare al telefono come se stessi parlando con qualcuno in Iraq
Gente che a casa propria al telefono bisbiglia, poi viene in ufficio e strilla come una lavandaia.
Allora o vuoi far vedere che lavori e ti sbatti o sei sordo. In entrambi i casi la voglia di lancio della ciavatta è incontenibile.
#la merenda
Fare merendina in ufficio è un must, ma mica te poi magna’ quello che te pare.
Per esempio la banana no.
Le vaschette con i salumi, mangiati con le mani, no.
Le caramelle sì se le sai mangiare. Ma se con la saliva fai dei risucchi che manco Moana ai tempi d’oro allora no.
La roba unta no. Perché se poi devo usare il tuo pc e mi sembra di stare al Festival della sugna ciò potrebbe essere un problemino.
#Il bar sport del lunedì mattina
Non mettere mai un tifoso del Napoli, uno della Juve ed uno della Lazio vicini perché si crea il triangolo della morte.
Voglio dire: una povera donna già passa il weekend a soffrire appresso campionati vari, pure il bar dello sport in ufficio si deve subire? E la cosa incredibile è che riescono a dire tutte le settimane le stesse identiche cose, in loop, per sempre.
E che palle.

In questo marasma però capita anche che nascano anche belle amicizie, di ridere e pure tanto, ci si conosce più che a casa e se sei fortunato ti fidanzi con quello seduto dietro.
Però che pazienza che ce vo’.

Ciao ciao.

mercoledì 11 giugno 2014

Visite a tradimento.

Ieri giacevo malata a casa, dolorante e deboluccia.
Nel pieno della terza pennica della giornata, mi sveglia il citofono.
Apro gli occhi, ma nemmeno mi alzo, sarà qualche scassaminchia con la pubblicità. Prendo il telefono per vedere l’ora e trovo 6 chiamate della mia genitrice.
Sarà morto qualcuno, penso. La richiamo: mi risponde sbraitando e mezza affannata che ha provato a chiamarmi tantissime volte e che sta salendo le scale. Di casa mia.
Quindi con somma gioia, mi alzo dal letto di morte e vado ad aprirle la porta.
Il primo impatto è quello dell’accecamento: mia madre infatti per il pomeriggio ha deciso di mettersi in tenuta da pappagallo di Copa Cabana, un’ondata di verde azzurro bianco blu elettrico mi investe con violenza.
Dopodichè inizia la via Crucis. Per la sottoscritta ovviamente.
Stazione #1
Lei: stai male? Perché stai male? Hai preso le medicine? Quando fai le analisi? Quando ti operano ai denti? Perché non compri le vitamine? Hai gli occhi gonfi, hai ancora l’allergia? Hai finito gli antistaminici?
Io: …..
Stazione #2
Mia madre apre il frigo e mi dice: non compri mai le verdure, per questo stai sempre male.
Ha il coraggio di dire questo di fronte a un cassetto contenente fagiolini, peperoni, zucchine, rughetta e pomodorini.
Ma no, io non compro mai le verdure.
Stazione #3
Mia madre si reca sul balcone e trova il posacenere con qualche cicca di sigaretta.
-          “Mio Dio quante sigarette! Ma D. ancora fuma? Devi farlo smettere di fumare! Digli che deve smettere!!! Con la tua allergia il fumo è veleno!”
-          “ma mamma fuma sul balcone, non dentro casa….”
-          “il fumo passivo!!! Il fumo passivo!!!! Ti arriva lo stesso!!!”
A quanto pare secondo mia madre il fumo passivo arriva pure se chi fuma lo fa a metri quadri di distanza.
Stazione #4
La differenziata.
Mi chiede: Hai cento bottiglie di plastica sul pavimento. Perché? Le butti separatamente?
Rispondo: si mamma, la plastica la butto a parte.
Lei: ah bene.
Poi però, dopo tre secondi entro in cucina e vedo una busta di immondizia più grande di me chiusa e pronta per essere buttata, ovviamente con organico e plastica messa insieme.
Allora io dico: che minchia me l’hai chiesto a fare se faccio la differenziata.
Stazione #5
Ormai inerte, abbattuta dal peso della malattia e della rottura di coglie, ecco che mia madre sferra il colpo di grazia, ma prendendola alla lontana:
“ho visto un annuncio di una casa in vendita, qui su questa via. Due camere da letto, due bagni, box auto e giardino. Perché non vendi questa casa (ndr: comprata solo sei mesi fa, a seguito della compravendita più allucinante della storia, interamente seguita dalla sottoscritta; con doppio trasloco sempre seguito dalla sottoscritta) e ti compri quella? Così D. non deve girare tanto per il parcheggio”.
Sì certo mamma, è questa la ragione per cui vuoi che compri una casa con una camera in più. Non per il nipote che vuoi tanto avere, ma perché così D. non smadonna per cercare parcheggio.
Io ormai allibita, non ho nemmeno la forza di rispondere: ma/cosa/cazzo/dici.
Ed ecco il colpo mortale:
“HAI PRESO QUALCHE DECISIONE RIGUARDO IL TUO FUTURO?”
ed io: Madre, che cosa vuoi? Che decisione?
E lei ripete: “Hai preso qualche decisione per il tuo futuro?”
La guardo malissimo, al che si decide:
“QUANDO TI SPOSI???”.
Ecco, game over, colpita e affondata.
Davanti a me vedevo solo scorrere in loop la parola: EUTANASIA.

Morale: se giacete malati a casa non avvertite mai la vostra genitrice della cosa, perché approfitterà della vostra debolezza fisica e mentale per farvi tutte le domande a cui normalmente rispondereste: Ah ma’ nun rompe le palle.
La prossima volta piuttosto vado a lavoro con quaranta de febbre.
Cia’.



lunedì 9 giugno 2014

Della volta in cui scoprii che non è vero che tira più un pelo di ….. che un carro di buoi.

Sabato sera.  Un gruppo di ragazze festeggia l’addio al nubilato di un’amica. Immaginatevele: allegre, coloratissime, chiassose, pronte a far festa.
Il gruppo di amiche ha scelto di terminare la serata partecipando al Pride Party 2014, che quest’anno si è tenuto in culonia, a Centocelle, nel bel mezzo del nulla. Quindi decidere di passare la serata lì, ha richiesto l’impiego di diverse macchine e la consapevolezza di buttarsi nello sprofondo di Roma apposta per quella serata, proprio quella. Anche perché il gruppo di amiche ha scelto per questa serata un po’ speciale di vestirsi anni ’80, con tanta autoironia e tanto umorismo, ed  hanno pensato, quale miglior scenario del Pride Party per festeggiare con un look un po’ pazzo senza essere giudicate?

Vabbè per farla breve: le amiche si presentano in blocco all’ingresso del Roma Vintage.
SI METTONO IN FILA, come tutti, e nell’attesa ridono e scherzano. Capita che a un certo punto la sposa urli SCHERZOSAMENTE al tipo oltre i cancelli: ehi fate entrare la sposa!
Ecco, da qua in poi, prende luogo l’episodio più surreale a cui abbia mai preso parte.
Il tizio con una faccia da Hannibal Lecter le risponde: “Decido io chi deve entrare e chi no, anzi sai che c’è, adesso ti metti da un lato e aspetti”. Poi si rivolge al gorilla buttafuori, e gli dice di far passare altre persone.
La nostra prima reazione è stata tra l’incredulo e la convinzione che ci stesse prendendo in giro. Gli chiediamo quindi: Ma come? Che fai?
E quello si incazza ancora di più e strepita: “Qui non potete fare come vi pare! Non entrate e basta, non me ne frega niente della sposa, anzi questa è una festa gay e una sposa qui non c’entra niente e non la vogliamo!”. Dopo di che si rivolge di nuovo al gorilla e con il tono da Fidel Castro gli intima: CACCIALE.
Dire che siamo rimaste costernate è un eufemismo.
Tra chi è rimasta senza parole e chi invece si è incazzata, abbiamo prima reagito “male”, tu così non puoi trattarci, guarda che hai equivocato, pensavamo fosse una festa contro le discriminazioni e poi tu sei il primo a discriminare un gruppo di ragazze…etc etc…
Il piccolo Napoleone ci ignora deliberatamente, se non per ribadire che lì noi non saremmo entrate.
Il nervosismo cresce, le proteste aumentano, una delle ragazze commenta con un’altra: ammazza che deficiente (e si è tenuta, perché io pensavo molto di peggio).
Appena ha sentito il termine deficiente, il soggetto si è incarnato nella ragazzina dell’esorcista, ha tipo strillato: DEFICIENTE LO DICI ALLA FAMIGLIA E A TRE QUARTI DELLA PALAZZINA TUA, ANDATEVENE IMMEDIATAMENTE, MA COME VE PERMETTETE, CHE NON VI HO CAPITO A VOI, POI DAL DEFICIENTE SI FA PRESTO A PASSARE AL FROCIO DE MERDA.
Un folle. Totale.
Che chiaramente ha un conflitto insoluto con la propria sessualità per attribuire a noi, insulti che nessuna si sarebbe mai permessa di pronunciare, non capendo che se stavamo lì a festeggiare, evidentemente certi pregiudizi non ci appartenevano neanche alla lontana.
Morale della storia, ce ne siamo dovute andare, ma quanto accaduto è di una gravità inaudita.
Non faccio di tutta l’erba un fascio ovviamente, qua il maleducato pazzoide ignorante è stato un solo individuo. Un individuo che però in quel momento aveva un ruolo importante, e che ha segnato con il suo atteggiamento un’intera manifestazione, un evento collettivo di rilievo.
E che personalmente mi ha lasciato un ricordo sgradevole, la sensazione di aver subito un atto vero di ingiustizia e prepotenza.
Qualcuno potrebbe ipotizzare che il tizio per reagire in maniera così violenta e intransigente, probabilmente ha un trascorso difficile fatto di discriminazione e rifiuto.
Io rispondo ‘sti gran cazzi.
E che la prossima volta che questo psicolabile si azzarderà a trattare così chiunque, abusando di un potere del tutto fittizio ed arbitrario, gli deve prendere una diarrea a spruzzo da riempiere tutto il parco di Centocelle.
E comunque poi siamo riuscite a divertirci lo stesso. Alla faccia sua.
Ciao a tutti meno uno.


venerdì 30 maggio 2014

Idiosincrasie.

Ci dobbiamo volere bene, dobbiamo guardarci allo specchio e non farci cacare, dobbiamo trovarci moderatamente piacevoli, gentili e amabili.
Ma. Tutto ciò è sano buono e giusto quando incontra i limiti dell’obiettività. Appena si travalicano questi limiti si sfocia nella megalomania e nel delirio di onnipotenza, ed ecco allora che dobbiamo metterci in fila ed andare tutti dallo pissicologo.
Scusate, mi sto sfogando.
Il fatto è che non ne posso più.
Sono stanca.
Mi sono fondamentalmente rotta los cojones di:
-         Chiederti come stai e sentirmi un pippone di un’ora e mezza su tutte le tue disgrazie. A volte ad un come stai è sufficiente rispondere con un bene grazie, non è necessaria tutta la rava e la fava dei cazzi tuoi;
-          Di vedere dei cessoni a pedali non avere la benchè minima consapevolezza di esserlo ed atteggiarsi come se fossero Bar Rafaeli. Fai caca’, prendine atto e mettici una pezza dove puoi, ma finiscila di mentire a te stesso/a pensando di essere strafighissimo/a;
-     Di gente che pensa di saper fare tutto e di saperlo fare meglio degli altri. Esistono cose come la collaborazione, l’umiltà, ascoltare l’opinione degli altri, che fanno bene al cuoricino di tutti e non ledono il fegato;
-       Di gente che agisce come se quello che fa per vivere coincidesse necessariamente con quello che si è: sei una persona prima di essere architettissimo, ingegnerissimo o avvocatissimo. Quindi a volte mi piacerebbe parlare con la persona, non con il super professionista di questa -------;
-         Di gente che fa dell’ignoranza la propria bandiera.
Parli di un film, di un attore, di una canzone e ti rispondono con superiorità: non conosco, io non vedo la tv, non vado al cinema, non mi interessano queste cose.
Bravo coglione, vantati pure.
-      Di gente che da e poi rinfaccia. Che uno dovrebbe solo rispondergli: 1. ma chi te l’ha chiesto, 2. Ma dove l’hai imparata l’eleganza?
-      Della gente convinta di essere il dio del cabaret e fa battute a raffica di cui i due terzi non fanno nemmeno ridere, ma ti costringono a ridere lo stesso per cortesia, e poi ti fanno male le mascelle per lo sforzo innaturale quando in realtà  vorresti solo dire E STATTE ZITTO;
-        Dei paraculissimi, che quando c’è da fare le cose starnazzano come le oche del campidoglio il primo quarto d’ora per far vedere che ci sono, poi però si defilano, e ti lasciano con il cetriolo in mano. In mano per non dire altro;
-        Della gente che si sente troppo fica per trattare con educazione un cameriere al ristorante o il barista che ti fa il caffè.
Che se poi nel caffè ci scatarrano hanno ragione e fanno benissimo.

(è un momento un po’ così. Mi sa che si capisce vero?).

Ciao.

venerdì 23 maggio 2014

Parigi vs Roma. 1 a 0, palla al centro.

Come sbandierato a destra e a manca, di recente ho fatto una veloce capatina nella capitale franzosa.
Non era la mia prima volta, ma se in passato tornavo non sapendo decidermi se Parigi fosse superiore a Roma o meno, stavolta non c’è trippa per gatti: Parigi vs Roma = partita non disputabile perché Parigi gioca in serie A, Roma in serie C2.
Mi costa ammetterlo, ma siamo stati SURCLASSATI. Cioè, altro che la capata di Zidane a Materazzi….c’hanno fatto un culo così.
Non si parla ovviamente di bellezza architettonica o di patrimonio storico.
Qua si parla di ciò che rende una città vivibile e citizen friendly, si parla di questo:
# rete trasporti pubblici
Un’immagine vale più di mille parole:



Ahem….
Credo non serva didascalia sotto ogni immagine.
#Valorizzazione della periferia
Io in periferia ci abito. Meno periferia di altre, ma sempre periferia.
E mi rendo conto che la differenza tra periferia e zone più in a Roma si nota.
Invece a Parigi no. A Parigi in quartieri in teoria periferici, trovi comunque bellissimi palazzi, aree verdi a gogo, bei negozi, bei ristoranti, tanto che ti poni la domanda: ma siamo sicuri di essere in periferia?
A Parigi, in periferia, ho visto un parco meraviglioso con una cascata, un tempietto, una veduta panoramica dell’intera città, un ponte e distese sterminate di prati.
A Primavalle, se voglio andare al parco, posso andare qui:









Per dire, il giardino della vecchiaccia vicino casa è meglio.
# Assenza di traffico
Ultimamente mi rendo conto di autolimitarmi nel fare le cose.
Cioè evito di andare in certi posti in certi orari, perché so che rimarrei imbottigliata in un vortice di traffico e bestemmie (tipo: Trastevere il sabato sera).
Dai franzosi, non ho visto mezzo centimetro di traffico manco a pagarlo. E come potrebbero del resto con tangenziali a quattro corsie, larghe quanto l’A1?
# Fermento culturale.
In questo Roma, ci prova poverina, ma è tanto tanto difficile. Problema di spazio, di soldi, di mazzette, di tutto.
A Parigi tra mostre, concerti, festival non sapevi dove cazzarola guardare. Oh, in due giorni ho visto manifesti con robetta tipo Damon Albarn, Phoenix, Massive Attack, Rufus Wainwright, Eels e potrei scrivere altre sei ore. Per non parlare degli spazi espositivi dedicati a fotografia, pittura e arti figurative varie.
# Il fiume
Senna e Tevere. Come a dire: Luca Argentero e Bombolo.
Mi sono fatta due passi sul lungo Senna e per quanto rosicavo mi è presa una smania piromane.
Bar, spazi dedicati ai giochi per bambini, barconi su cui si tenevano lezioni di ballo, posti a sedere su lunghe panche di legno…
Sul lungo Tevere i sorci, le zanzare e le bancarelle e i chioschetti d’estate, che per prendere un cocktail devi prendere a gomitate chiunque, dopo una buona dose di bestemmie (vedi sopra per trovare parcheggio).
# La monnezza
Roma ultimamente sta vivendo un difficile momento per quanto riguarda il capitolo monnezza. Secchioni stracarichi, differenziata inesistente, rifiuti ingombranti sotto casa.
A Parigi… Beh non so dove se la mettono, ma vi dico: la monnezza a Parigi non esiste.
Che ci spiegassero come fanno, perché davvero la cosa resta un mistero.
Vabbè basta. Mi sento anche in colpa a parlare così della mia città, che amo tantissimo, davvero, ma ultimamente viverci è diventata una sfida.
Mi consolo continuando a pensare che se pure vivessi lì, poi avrei seri problemi di adattamento.
Non potrei vivere in un posto dove le ragazze sono troppo belle (tacci loro, lunghe come giraffe, inspiegabilmente secche nonostante la burrosissima e pannosissima cucina francese, stilose come poche). La concorrenza sarebbe iniqua.
Non potrei vivere in una città in cui la metro puzza di pipì. Dovunque. Perché poi non lo so, ma tant’è.
Non potrei vivere in una città in cui al bar ti servono una broda carissima e schifosissima che spacciano per caffè.
Infine, l’argomento definitivo, quello che vince su tutto: non potrei vivere in una città senza bidet.
Franzosi ci mangiate in testa, è vero. Ma il culo non ve lo lavate mai.
Ciao.





giovedì 15 maggio 2014

Fitness Forever.

Ieri sono entrata in una farmacia per comprare una crema viso bio.
Sono uscita con 130 euro di prodotti cosmetici vari, eccetto ovviamente la crema viso.
A prescindere dall’abilità con cui i commessi mi fanno fessa e mi vendono la qualunque tranne ciò di cui ho realmente bisogno, quello di cui vorrei parlare è la fase paranoica che sto attraversando ultimamente. E mica solo io.
Sto constatando che molti di noi, passati i 30, vengono illuminati sulla via di Damasco dal Dio Fitness.
Personalmente, ho passato l’adolescenza e tutti i miei venti a magna’ l’impossibile, senza vincoli se non uno, il buon gusto.
Fritti, carboidrati, hamburgers, con me, hanno fatto una brutta fine.
Non pesavo 120 chili solo perché a fasi alterne mi ricordavo di andare in palestra e di essere una donna, quindi a volte mi contenevo.
Ora però qualcosa è cambiato.
Sto considerando seriamente di diventare vegetariana, vedo una bistecca e mi immagino una mucca gonfiata di ormoni, mi metto il fondotinta e mi chiedo se ci sono dei parabeni dentro, compro una crema e verifico l’inci (che ancora non ho capito che cazzo significa, però verifico lo stesso).
Cerco di praticare sport, ma per quello ancora mi manca la costanza. Intorno a me, vedo gente macinare chilometri in bicicletta, correre come se non ci fosse un domani, nutrirsi di tofu, quinoa e seitan, ed io  mi sto lasciando travolgere da questa febbre salutista, anche se decisamente, non è da me.
Siete tutti più magri, più belli, più giovani.
Vi ricordavo con confortanti rotoli di grasso appollaiati sulla panza, il doppio mento, il bicchiere di whisky e cola in mano.
Vi ritrovo secchi e tirati, i visi scolpiti, in mano il bicchiere di centrifugato di sedano. Sull’aifon tenete tutte le ultime app a tema fitness, compresa quella che vi dice quando quanto e perché bevete acqua, come se andare in bagno 150 volte non fosse un indicatore sufficiente.
Un po’ vi odio, un po’ vorrei essere come voi.
Quello che ancora non mi è chiaro e se siete pure più felici.
Sicuramente siete più fighi e l’ego ne beneficia, però quello che mi chiedo, non siete stressati?
Io già ora che mangio tutto, faccio una fatica enorme a capire che devo cucinare la sera. Figuriamoci se davvero mi decidessi ad eliminare la carne…
E non è solo questo. Si tratta anche di evitare i fritti, preferire carboidrati integrali, mangiare più frutta e verdura, cancellare dalla mente concetti come mortazza, corallina e prosciutto di Parma.
Se dovessi dare retta a tutti gli input salutisti ricevuti ultimamente la mia vita sarebbe la seguente:
alzarmi la mattina e passare un’oretta al cesso mettendomi in faccia il gel rigenerante per risvegliare la pelle, la crema antirughe e antismog, la protezione solare (il cosmetologo della farmacia ieri mi ha chiesto serio quanto tempo passavo alla luce del sole per capire quanto era il mio rischio di contrarre melanomi :O), truccarmi con prodotti bio, fare colazione con cereali integrali, frutta e latte di soia ed infine uscire.
Lavorare giusto per pagarmi tutti i prodotti supercostosi che il mio nuovo stile di vita mi impone, pranzare con criterio, a fine lavoro recarmi in palestra e trovare la forza di allenarmi con dovizia.
Infine cena, con gli stessi crismi del pranzo.
E la spesa? Mica puoi andare al supermercato pidocchioso sotto casa. Devi fornirti al vegan shop de sta ciola, per spendere 20 euro e uscire con il pacchetto da 200 gr di semi e germogli.
Mentre scrivo mi rendo conto di diventare sempre più polemica e stizzosa.
Mi sa che mi rode così il culo solo a scriverle certe cose, forse e dico forse, non sono pronta ad abbracciare questo nuovo stile di vita.
Mi sa pure che a pranzo ordino la carbonara.
Ciao.


mercoledì 7 maggio 2014

Pornografia sentimentale.

Rimpiango un po’ i tempi in cui i social network non esistevano e le cose belle si vivevano per sé stessi e non in funzione della pubblicazione di un post, di una foto, di un tweet etc…etc...etc...
Attenzione, non condanno il fenomeno in toto, perché occasionalmente fa piacere anche a me condividere una foto di coppia su feisbucco, un momento personale importante, roba cheek to cheek.
Però ho detto OCCASIONALMENTE.
Mi turba invece quando ho la sensazione che ogni gesto sia funzionale alla condivisione su un social. A quel punto non è più nemmeno condivisione, è pornografia, pornografia sentimentale.
Oh ci stanno certi profili feisbuk che sembrano fotoromanzi sudamericani degli anni ’80, da far impallidire tutta la produzione del genere di Grecia Colmenares.
Foto di baci hollywoodiani, cuoricini a go a go, filtri Instagram usati come se non ci fosse un domani per rendere bello ciò che normalmente è abbastanza un cesso, dichiarazioni d’amore eterno che diventano status, love hashtags, dediche musicali tramite youtube…insomma: c’avete scassat ‘o cazz.
Questa gente secondo me non si rende conto che a furia di postare, condividere, pubblicare, rischia di perdere l’intimità di certi momenti, che sono preziosi proprio perché vissuti in due.
E poi, tutto il tempo che perdete per fare la foto perfetta, perfettamente filtrata del bacio perfetto, se lo impiegaste per un po’ di sana ginnastica orizzontale, no?
Tempo fa girava in rete questo divertente ed esemplificativo video:
Nella realtà è tutto molto più squallido e triste.
Nella realtà lui e lei non sono così belli, non litigano neanche, stanno per lo più in silenzio, non condividono nulla tra di loro, perché troppo impegnati a condividere altrove e a vivere il copione della love story da manuale.
Pare che non ci si ami più se non si fanno foto al mare con il sole che cala al tramonto, se non ci si tagga in coppia in ogni luogo dell’universo, escluso il cesso che è poco romantico, se uno status ogni due non contiene <3/#love#forever/destinazioni di viaggio che includano l’infinito e oltre.
Ma lo penso solo io che l’amore è anche altro?
L’alito cimiteriale la mattina appena svegli, facce struccate e borse sotto agli occhi, il turpiloquio e le risse sfiorate da Ikea, le liti per il monopolio del bagno, l’abbrutimento sul divano la domenica sera…ne potrei dire altre cento.
Adoro il fatto che amarsi significhi anche vedersi nelle reciproche imperfezioni e decidere comunque di stare insieme giorno dopo giorno.
Per questo mi fa incazzare che alla fine dei conti, se proprio vuoi fare della pornografia sentimentale, mi spacci solo la parte cool del vivere di coppia, mentre tutto il resto è latitante. L’immagine che mi vendi è ipocrita, falsa e mistificatoria, ed io non ci casco.
Senza stare a pontificare oltre io dico solo questo: certe cose tenetevele per voi.
Saranno solo vostre, saranno esclusive, saranno speciali. E soprattutto non correranno il rischio di diventare argomento di conversazione spicciolo, di essere travisate o sminuite dal primo fesso per strada.
Poi, come sempre, fate come ve pare.
Ciao.


martedì 29 aprile 2014

Pruriti & co.

Non lo so che mi prende, ma ultimamente sono infastidita.
È un fastidio generalizzato, universale, si innesca con poco, si innesca per tutto.
E allora per esorcizzare, per cacciare via questo fastidio, forse è il caso di spurgare in questa sede.
Ecco, ora sono una vipera e sprizzo veleno.
-        
             Mi detesto. Arriva la primavera ed io mi detesto.
Se potessi liposucchiarmi anche l’anima lo farei. I NUMEROSISSIMI peccati di gola finora nascosti da lana e piumini stanno per essere esposti, alla luce del sole.
Mi sono iscritta in palestra da qualche mese, ma sempre troppo tardi per essere fighissima già a Maggio.  E poi arrivano i pollini, ed io mi trasformo in una creatura smoccolante e dalla pelle irritata, sento solo il bisogno di fazzolettini e chilate di Gentalyn Beta da spalmarmi sulla faccia, invece mi tocca pure uscire e sembrare addirittura presentabile.

-          Iniziano i primi caldi e la gente sui mezzi comincia a puzzare di ascella stagionata 24 mesi.
L’inverno è stato tutto un susseguirsi di individui che a colazione al posto dei cornetti si mangia teste d’aglio…ora è tempo delle docce mancate, del deodorante considerato accessorio opzionale, delle sudate da stalla, ed io soffro tanto.

-          Mi sento ostaggio dei turisti, delle vecchie e delle donne con i passeggini.
Non passa giorno in cui un gruppazzo di turisti non mi calpesti con le loro valigie del cazzo, in cui una vecchia non mi prenda a gomitate sulle costole per pesare la verdura prima di me al supermercato, in cui una mamma con il passeggino non mi faccia pestare tutte le merde lato marciapiede perché sul marciapiede vero e proprio ci deve passare lei con passeggino a seguito.
Sì, non sono politically correct, ma che vi devo dire.

-          Il mio senso estetico è seriamente messo alla prova. Donne, mettetevelo in testa, non potete mettervi addosso quello che vi pare e piace.
Ultimamente è tutto un prolificare di donne polpacciute con ballerine improponibili, accompagnate sovente da calze 15 denari bianche. Perdinci, bianche.
La ballerina è di per sé una scarpa difficile, se hai caviglie e polpacci da wrestler allora lascia perdere, perché davvero, non è il caso. E anche se il caso lo fosse, ma perché ti compri le ballerine di plastica viola/fucsia/turchese con le peggio patacche appiccicate sopra?
E quando non è una ballerina, allora il mio senso estetico viene seriamente offeso dal piede zozzo e cicciuto della turista di turno, che non si sa per quale insano motivo, si deve girare tutta Roma in INFRADITO. Voglio dire, se hai deciso di distruggerti la schiena cazzi tuoi, ma la vista dei tuoi piedacci mi deve toccare per forza?!? Io dico di no.
Infine, non so nelle altre città, ma a Roma le adolescenti si vestono come in Beverly Hills 90210. Santissimo Iddio è tornata la moda anni ‘90, ed io mi sento come quando da ragazzina cessona guardavo Non è la Rai dopo scuola: un misto di fastidio e invidia.

-          L’incubo della gita fuori porta.
Mi sento massimamente a disagio per questo fatto qui.
È tempo di weekend lunghi e di giornate più o meno belle. E allora se non vai al mare/al parco/al museo aggratisse/al borghetto medievale fuori Roma, sei il più stronzo di tutti.
E allora mi sa che rientro in quest’ultima categoria.
Odio la gente in metro figuriamoci in questi contesti bucolici che può succedere, contesti in cui l’unica opzione desiderabile è stare in santa pace con pochissimi eletti.
A pasquetta mi sono fatta una fila di 40 minuti per prendere un fottutissimo gelato da Giolitti. Oh, 40 minuti. Non si contano sulla mano le cose che avrei potuto fare in quei 40 minuti con maggiore soddisfazione e appagamento.

Insomma: mala tempora currunt.

Cercasi rimedi durevoli ed efficaci.

martedì 22 aprile 2014

La sindrome della geisha.

Alla faccia del femminismo, della parità tra uomo e donna, delle suffragette, ho scoperto di essere afflitta da una grave ed ostica malattia: LA SINDROME DELLA GEISHA.
Non sono nata tra i monti della Sila, ho studiato, lavoro, vivo nel 2014 eppure rientro a pieno nella casistica delle donne che soffrono di questa tremenda sindrome, e la colpa è tutta di mia madre, già lo so.
Insomma, io faccio gli stessi orari lavorativi del mio uomo, arriviamo a casa più o meno rincoglioniti allo stesso livello eppure io non gli permetto di muovere un dito per le faccende domestiche, tranne rarissime eccezioni.
Non è lui, badate bene, che non vuole collaborare, sono io che mi metto di punta e insisto per passare l’aspirapolvere, lavare a terra, lavare i piatti 6 sere su sette, spolverare, cucinare (oh cucinare davvero, mica la pasta al burro) etc etc etc…
A  volte rasentiamo il litigio, ma è più forte di me, lo devo fare io.
E lo sapete perché? Perché per colpa di questa maledetta sindrome della geisha io latentemente rifiuto il concetto che il mio uomo (attenzione, non l’uomo in generale, ma il mio uomo) faccia lavori cosiddetti “muliebri”.
(mentre scrivo queste ultime parole mi vergogno come un cane e mi aspetto da un momento all’altro che le femministe degli anni ’70 mi piombino addosso per picchiarmi come merito).
E la sindrome mica finisce qua.
Chi mi conosce sa che mangio come i camionisti all’Autogrill, mangio tanto, volentieri e di gusto.
Ucciderei chiunque mi sottraesse il cibo di bocca.
Ma quando si tratta di servire la cena a tavola, non si sa come, a lui servo una porzione da bufalo, a me quella della principessina inappetente.
E la cosa bella è che sono pure contenta di farlo. Tutto ciò è solo imputabile al mio modello familiare, altrimenti non si spiega come al solo vederlo con una pezza in mano, l’immagine e l’idea che ne traggo è quella della svirilizzazione del suo essere uomo.
Razionalmente mi ribello a tutto questo. Insomma lo so che siamo alla pari, che il nostro tempo libero ha uguale valore, che i compiti domestici dovrebbero essere equamente distribuiti, però ad un certo punto prende il sopravvento questa cazzo di geisha che DEVE pulire, rassettare, servire pranzo e cena a più portate e farlo sentire il re incontrastato di casa.
Probabilmente se lui invece di essere così disponibile e collaborativo, mi imponesse le cose che faccio per lui di mia sponte, la ramazza invece di usarla per pulire a terra, la userei per fargli dei bozzi decorativi in fronte.
Geisha sì, cogliona no.
Quindi finché questo moto altruista viene da me, e da me soltanto, allora è qualcosa con cui posso convivere tranquillamente.
Ma se stessi con un villico ignorante che desse per scontato che l’addetta a pulizie/pasti/sollazzi fossi io, allora la geisha se ne tornerebbe in Giappone e la sottoscritta diventerebbe la paladina del femminismo contemporaneo.

Quindi per ora continuo così senza troppi rimorsi di coscienza femminista, magari però la prossima volta la bistecca me la cucina lui, e mi serve pure quella più grossa. Magari. Forse. Chissà.

martedì 15 aprile 2014

Scary Date Theory ovvero del peggior primo appuntamento di sempre.

Tempo fa menzionavo su questi schermi l’emozione che si vive prima di un appuntamento galante.
Ma dopo…dopo cosa succede?
Le probabilità che un primo appuntamento sia un successo sono pari a quelle di non beccarsi il colera nuotando nel Tevere: quasi nulle.
Nella mia personale esperienza appuntamentoria ho avuto modo di classificare queste tipologie di soggetti, ciò che scrivo vi serva, dove possibile, ad evitarli come la peste:
# l’autoreferenziale: esisto parlo faccio solo io
Ecco. Se nella borsa ti metti un cric portatile e poi glielo dai ripetutamente sulle gengive, nessuno potrà fartene una colpa.
Questi soggetti esistono solo ed esclusivamente per parlare di sé stessi. Io è il loro pronome personale preferito, tu/egli/noi/voi/essi sono solamente accessori.
Dopo un discorso lungo un’ora e mezza pieno di io io io io, ad un certo punto giusto per prendere fiato e bersi un sorso del cocktail che ha ordinato lui dirà: e tu?
Farete in tempo a dire Beh io…. E già ricomincerà a sproloquiare, incurante che tu lo stia ascoltando o meno.
# il sopravvissuto alle guerre puniche
Questa categoria è terribile. Ognuno di noi si presenta all’appuntamento con il proprio bagaglio di esperienze personali, più o meno sofferte. Però bene o male, un minimo di ottimismo, una luce in fondo al tunnel la facciamo intravedere.
Il mio personale appuntamento con la categoria del sopravvissuto alle guerre puniche si è svolto più o meno così:
IO: beh allora che mi racconti di te?
LUI: mi sono sposato giovanissimo con l’amore della mia vita. Incuranti e incoscienti abbiamo dato alla luce una bimba bellissima come la mamma. Ero convinto di avere tutto, ma poi un giorno ho scoperto che lei era una schizofrenica con svariate personalità, pensavo fosse una restauratrice e invece si spogliava a via Veneto negli strip club, ho trovato nel pc file sulle sue performance, ci siamo separati, e dopo un primo tentativo di perdonarla, ora ci stiamo avviando al divorzio. Ah, la ragazzina la tengo io, che a quella zoccola l’ho diffidata.
IO:…..
(true story)
Ora io dico, con queste premesse, come può quel primo appuntamento non essere anche inevitabilmente l’ultimo?

# il truffatore
Ti imbatti in questa tipologia solo se ti capita di bazzicare quello strano luogo chiamato chat.
Amiche! Romane! Concittadine!
Diffidate di foto profilo prese di sguincio, di tutti i filtri Instagram possibili e immaginabili, del chiaro scuro, del bianco e nero, dei soggetti che si ritraggono solo seduti!
Pensate di incontrarvi con uno più o meno normale e vi ritrovate sedute con un tizio alto 1.50, che si è fatto esplodere una bomba in bocca e poi si è fatto rimontare i denti a casaccio, che si compra i vestiti da Prenatal e che, cosa più grave di tutte, non ha la benchè minima percezione di essere il mostro che è.
L’unica cosa da fare in questi casi è la denuncia.
Siete vittime di truffa tale e quale a quelli che si compravano il ciondolo del Mago Do Nascimento nei programmi di Wanna Marchi.

# il maniaco
Con il maniaco la conversazione si svolge più o meno così:
-          Ciao piacere, io sono Ayesha.
-          Ciao, ti amo. Vuoi venire a cena da me, fare un figlio, sposarci e amarci per sempre?
Inutile dire che questi tizi hanno problemi affettivi di natura congenita, tendono naturalmente ad accollarsi, se gli dai un minimo di corda te li ritrovi sotto casa e poi non li schiodi manco con la municipale.

 # il comunista fuori tempo massimo
Per carità, c’è a chi questa categoria piace, su di me francamente non esercita tutto questo fascino.
Li riconosci subito, sembra che si siano appena alzati dal letto, tutti scompigliati, look da giovine intellettuale di sinistra degli anni settanta, hanno una sciarpa rossa intorno al collo, la giacca di vellutino a coste, pantaloni sformati e il Manifesto sotto braccio.
Ti portano a bere su un marciapiede al Pigneto, con una bottiglia di vino portata da casa e aperta con il cavatappi chiesto in prestito dal bangalese dietro l’angolo.
Sono sognatori, pieni di poesia, ma talmente dissociati dalla realtà, che o decidi di adottarlo per prenderti cura di lui o le prendi a pizzoni per svegliarlo e regalargli il primo vero contatto con il mondo reale.
 


Ovviamente le categorie sono molte di più, ma per fortuna mi è stato risparmiato di conoscerle tutte.

Ed ovviamente, poi ci sono quelle categorie di uomini, che al primo appuntamento danno tutto un altro senso, meno trash, meno tragico, meno patetico (e che la Madonna addolorata li benedica tutti).